Rosso-Nero: note minime da una curiosità
di Antonio Binni
Otranto: strade strette, corridoi nei quali si insinua un vento dolce. Su tutto, una luce sfolgorante che si fa pioggia, ma anche cecità devastante per la gente che, abitualmente, va per mare. Otranto: il porto dal quale si involarono i Normanni e i Templari. È ancora il ricordo di manoscritti greci e latini di nuovo decifrati; di letture ebraiche; di sapienza araba. Otranto, soprattutto, è la sua Cattedrale – grumo bianco ritornata Chiesa dopo essere stata pure Moschea – e, nella sua Cattedrale, il mosaico di prete Pantaleone con il suo Albero della Vita, mille e più tessere legate fra loro da paziente lavoro di mani anche arabe, al quale è stato annotato ogni Universo. Libro di pietra, che ormai nessuno sembra saper più leggere. Forse perché si è perso il senso autentico della vita. Ricco di simboli e di mistero l’Albero che occupa il pavimento della intera navata ha le sue radici in quell’animale, insaziato, che è il Tempo, felicemente raffigurato in una forma fantastica che riporta a luci di giorni e alle tetre notti. Fra le tante affascinanti figure, che adornano l’Albero, l’occhio desideroso di vedere anche ciò che non vede coglie, quasi sospesa nell’aria, una scacchiera di tessere bianche e rosse (figura 1). Forse per ricordare il gioco della dama. Gioco eminentemente esoterico con le sue tre leggi: di procedere un passo per volta, ma sempre avanti perché la stasi coincide con la morte spirituale, salvo poi spaziare sulla scacchiera in assoluta libertà perché, una volta raggiunta la Verità, si è definitivamente liberi. Sicuramente per richiamare alla memoria il gioco degli scacchi, nato nell’India settentrionale, trasformato in Persia, poi gradualmente diffuso nel mondo arabo, da dove, durante il Medioevo, è poi trasmigrato in Europa. Gioco diffuso, dal 1230 pensato come un vero e proprio percorso iniziatico. Anche per questo contrastato dalla Chiesa al pari di tutti gli altri giochi d’azzardo, perché il cammino dei pezzi sulla scacchiera dipendeva dal lancio dei dadi. Opposizione dura e ferma, salvo poi conservare i pezzi degli scacchi più preziosi nel tesoro delle proprie chiese, tributando a taluni di essi un culto simile a quello delle reliquie. Come è avvenuto, ad esempio, nell’Abbazia di Saint-Denise o in quella benedettina di Saint Maurice d’Augane, nel Vallese. È abituale svago in tutte le classi sociali. Appassionati giocatori di scacchi sono l’imperatore Federico II che, nella sua reggia di Palermo, non esita a sfidare i campioni mussulmani e il Re di Castiglia Alfonso X il Saggio (1254-1284). Ma, a scacchi, si gioca anche nelle classi sociali inferiori, divenuto il gioco ormai parte integrante della cultura cortese, e, perfino, fra cristiani e mussulmani (figure 2-3-4). È ora interessante notare che anche in queste ultime immagini, così come in quella di Otranto, la scacchiera risulta composta da tessere bianche e rosse, anziché bianche e nere come accade negli scacchi attuali. Questa singolarità – l’alternarsi del bianco e rosso, anziché del bianco e nero oggi dominante – ha attirato l’attenzione di chi scrive. Per alimentare il piacere della riflessione e la curiosità culturale, ci si è pertanto interrogati sulla ragione di questa diversità, visto che nulla avviene per caso. All’autore di queste note sommessamente sembra che una risposta persuasiva al curioso interrogativo posto possa essere rinvenuta nelle seguenti complesse motivazioni. Il colore nero, per lungo tempo, è stato considerato negativamente in quanto colore del Diavolo, della morte, del lutto e della penitenza. Nella Europa occidentale, alla fine del XIV secolo, il nero per gli abiti diventa però un colore alla moda, per essere codesto colore divenuto un simbolo di umiltà, castigatezza, temperanza, sobrietà, discrezione e semplicità. Nella civiltà europea nasce così, sia pure progressivamente, un mondo in bianco e nero anche per effetto dell’influenza religiosa particolarmente incisiva all’epoca. Nero è infatti l’abito di Savonarola, così come nero è il colore della controriforma. Da qui la preferenza alla coppia bianco-nero e alla conseguente sostituzione dei pezzi rossi con quelli neri. Per tutto il XIII secolo, sulle scacchiere si fanno infatti progressivamente spazio pezzi neri in sostituzione di quelli rossi, divenuti sempre più rari, da unici che invece erano. Si vuol dire altrimenti che, come ha insegnato Vico, quando muta la cultura, muta pure l’arte. Il passaggio dal bianco-rosso al bianco-nero della scacchiera, per concludere, non è allora che un adeguamento al mutato clima culturale, che, come si è sopra ricordato, non ha però investito solo la modestissima questione trattata. Il simbolismo bianco-nero ha infatti contribuito alla nascita della civiltà europea moderna.