Massoneria e società di oggi

di Antonio Binni

Diciamolo con la franchezza propria dei forti. Di fronte alla crisi sociale e istituzionale nella quale si dibatte il Paese, siamo preoccupati. Nella nostra collettività regna il disordine e l’insicurezza, specie quella della pena. Dominano il disorientamento, la crescente frammentazione del tessuto sociale, soprattutto l’incertezza del futuro, che, nei giovani derubati delle loro legittime speranze e aspettative, assume il carattere della paura. Più che la sensazione, si avverte la certezza che Ci attendono un’ora oscura e grandi prove. Da un quadro così complesso a contraddittorio – non mancano infatti anche le note positive – discende allora la non inutilità di un qualche spunto di riflessione che, doverosamente, prende le mosse da quel fenomeno – crescente e diffuso – noto con il termine di populismo. Dobbiamo pertanto interrogarci in ordine alla posizione nella quale deve collocarsi la Massoneria di fronte a questo fatto, straordinario e sorprendente, oltre che oggettivamente preoccupante. Com’è noto, si è fatto via via sempre più diffuso il convincimento di Rousseau, secondo il quale, nell’esprimere la “volontà generale”, il popolo ha sempre ragione. Con Marx si ripete che la saggezza viene dal basso. Codesta è una visione mitica, teorica, clamorosamente smentita dalla storia, prima ancora che dalla stessa odierna realtà. La folla amorfa è infatti un elemento instabile, volatile, che opera come il fuoco distruttore una volta innescato da persuasori occulti che la indirizzano e la piegano ai loro progetti occulti, quasi sempre orientati alla soppressione dei dissidenti. In questo senso è emblematica la folla che ha provocato la morte di Socrate e quella del Giusto per eccellenza, Gesua, noto come il “figlio del falegname”. Oggi – purtroppo – assistiamo alla recrudescenza di questo fenomeno, pericolosissimo, perché porta in sé il germe della soppressione, o, quanto meno, della limitazione – accentuata – della libertà, intesa come il bene supremo e irrinunciabile dell’Uomo. In questa ottica perversa rientra l’attacco alla centralità del Parlamento, che si vorrebbe appunto sostituire con la c.d. democrazia diretta, espressione propria degli umori e dei capricci di un numero indeterminato di soggetti sconosciuti assolutamente impreparati e incompetenti previamente orientati. La proposta elezione dei Senatori con il metodo del sorteggio altro non significa che l’inutilità di un metodo rigoroso, quale quello elettivo e selettivo. Con l’inevitabile corollario del l’uno vale l’altro. Tesi palesemente inaccettabile, malgrado il colpevole silenzio di chi, invece, avrebbe pur sempre l’obbligo di denunziare la clamorosa stortura. In questo quadro di manipolazione costante e diffusa, non meno importante è il tentativo, invero sempre più marcato, di ridurre l’ambito di operatività del diritto di associazione, sul quale si fonda ogni attività di stampo volontaristico destinato a superare nel tempo la finitezza di ciascun singolo associato: fenomeno di decisiva importanza sociale, tanto da potersi, con legittimo fondamento, affermare che non esiste attività umana meritoria che non rinvenga le proprie radici nel volontariato, fonte di crescita individuale e collettiva. E’ vivamente auspicabile che il Signor Presidente della Repubblica intervenga in materia, sollecitando l’adozione di una legge sulle associazioni, che faccia, finalmente, chiarezza. Specie ora, dopo che, del tutto legittimamente, ha riconosciuto il diritto di associazione perfino alle correnti della magistratura, che pure hanno l’effetto di comprimere sensibilmente la libertà dei magistrati così subordinati ad una autorità terza. E che dire allora della c.d. disciplina di partito che obbliga il singolo parlamentare a votare contro scienza e coscienza quando l’ordine di segno contrario provenga dalla Segretaria politica. Fenomeno, si noti, perfettamente identico e speculare a quello che avviene nel mondo sindacale dove non è neppure lontanamente congetturabile che la c.d. periferia – ad esempio – si astenga dal dar luogo allo sciopero una volta che lo stesso sia stato proclamato sul piano nazionale. A ben considerare, codeste sono invero tutte situazioni ben più pregnanti e cogenti di quelle che si verificano in ambito massonico. Non si comprende allora il motivo dello scandalo – in verità del tutto strumentale! – che si verificherebbe all’interno della nostra amatissima Associazione! Tanto più perché – e l’argomento è perfino dirimente! – la conformità alla regola, pronunziata dal Gran Maestro, opera pur sempre unicamente e esclusivamente nell’ambito interno all’Istituto. Considerazioni tutte che inducono a concludere che i diversi tentativi di comprimere perfino lo stesso ambito organizzativo interno delle singole logge, oltre a costituire l’espressione più bieca del pregiudizio massonico purtroppo storicamente radicato nel nostro Paese, mirano soprattutto a colpire uomini liberi e virtuosi, indisponibili a farsi omologare da orientamenti emotivi artatamente creati al servizio di fini politici di stretto potere. Va allora affermato, con forza, che Massoneria e populismo sono fra loro assolutamente incompatibili, oltre che del tutto inconciliabili, com’è per l’acqua e l’olio. In questo presente, il compito preminente della Libera Muratoria è dunque quello di combattere, in tutte le forme possibili, la deriva populista, così gravida di pericoli per la stessa democrazia del nostro Paese. Il che deve avvenire in primis con l’esercizio del diritto di voto, contribuendo, ogni giorno, con gli scritti e la parola, a formare una opinione pubblica finalmente consapevole. Quella che viene richiesta è una risposta politica nel senso più alto e nobile della parola. Trasformarsi in suggeritori divulgatori dei nostri valori, assolutamente irrinunciabili perché propri e esclusivi di ogni Uomo, è pertanto il lavoro che ci aspetta come impegno quotidiano. Solo così potremo superare il delicato e pericoloso momento che ci attanaglia. Viviamo in una cultura dove le nostre credenze hanno sempre meno senso. Siamo perciò obbligati a scegliere fra la fedeltà ai nostri principi e l’assimilazione al declino crescente. Dove la scelta è inevitabile perché la nostra emarginazione è crescente. In questa scelta non può arrestarci la paura perché già altri si sono trovati in una situazione uguale a quella che siamo obbligati ad affrontare. Nei momenti di transizione da un’era ad un’altra ci si trova, infatti, sempre davanti al dilemma fra il conservare le fondamenta del mondo degli antenati o rovesciarle per il nuovo, anche se ancora oscuro. Quello che viviamo non deve essere il tempo del lamento proprio dei pavidi. All’opposto, questo è il tempo del richiamo forte all’azione che comporta l’elaborazione di risposte, la creazione di reti di resistenza intelligenti e durature. A ben considerare, si tratta di raccogliere quello che altri hanno perso per farlo rivivere al fine di ritrasferirlo al futuro. Compito arduo, ma necessario. Chiediamoci ora se siamo in grado di assolvere il compito che ci attende. A questo fine, occorre, innanzi tutto, intensificare il nostro impegno, rafforzando i nostri convincimenti, sempre ancorandoli alla Tradizione, perché la foglia, staccata dall’albero, muore. Diciamo una verità. La nostra fede non è comoda. Per essere credibili dobbiamo pertanto essere disposti a soffrire a causa delle nostre convinzioni. La sofferenza fa parte della sequela. In questi tempi, che si prospettano bui, un giorno, con l’augurio che sia il più lontano possibile, potremo, forse, essere chiamati a compiere scelte dolorose sul piano personale. Non voglio creare allarmismi. Bisogna però riconoscere la gravità della situazione che abbiamo di fronte e prepararsi ad affrontarla. Il che implica la moltiplicazione degli sforzi per agire con determinazione entro la conflittuale area della libertà. Non dobbiamo poi credere che il nostro impegno si esaurirà a breve! I risultati si potranno, infatti, misurare solo su tempi lunghi! Da qui il doveroso richiamo alla virtù della pazienza. Né ci dovranno scoraggiare i fallimenti purtroppo inevitabili perché lo sforzo è pregevole in sé. Abbiamo la consapevolezza di essere una minoranza. Siamo però una minoranza creativa impegnata a costruire qualche cosa di nuovo che si fonda sul rifiuto di tutto ciò che non è vivificante. Mi piace pensare alla nostra Associazione come a una polis parallela a quella comune in grado di esercitare una vibrante forza contro-culturale all’interno di un mondo che respinge nettamente i nostri valori che noi invece conserviamo per farli prosperare in epoche successive. Da qui la loro strenua difesa. Anche perché questa è l’unica via che garantisce alla Massoneria la possibilità di continuare ad esistere. In Noi non c’è arroganza, ma solo l’orgoglio di assicurare la sopravvivenza della civiltà in un’epoca di barbarie e di oscurità, quale è la presente, nella quale la massima libertà di pensiero e di azione dell’individuo è ritenuta il bene più grande. A chi rifiuta la memoria del passato in quanto irrilevante, va contrapposta la società virtuosa che crede collettivamente in beni morali oggettivi atti ad incarnarsi nella comunità. Impegniamoci allora a rendere sempre più viva la testimonianza della possibilità di un mondo diverso, dove è possibile vivere nella Verità, dove l’Uomo è fratello dell’Uomo, dove domina l’Amore, soccorso ai deboli, ai diseredati, ai poveri e agli emarginati, non più vittime dello scarto sociale: un mondo, per dirla in estrema sintesi, finalmente giusto, solidale, sempre più umano. E’ in atto un tentativo di soffocare una voce libera, forse, addirittura, di renderla muta In trecento anni di storia, i massoni, con le loro guerre intestine, non sono riusciti a distruggere la Massoneria. Anche per questo penso che nessun altro riuscirà in questo eventuale intento. Mi spingo anche oltre. La Massoneria esisteva prima che esistessero i potenti di oggi. Siatene certi. Continuerà ad esistere anche quando sarà perso perfino il loro ricordo.