Conoscenza Ingenua
di Roberto Rossini
Vociare di bambini per strada, un grande rettangolo disegnato col gesso sul marciapiede, suddiviso in sei quadrati vistosamente numerati e coronato da un semicerchio contraddistinto dal numero sette. E’ il gioco della “Settimana”; il giocatore di turno lancia un sassolino sulla prima casella, quindi, saltellando su un piede, percorre di seguito tutte le caselle fino alla settima, per poi tornare indietro e fermarsi a raccogliere, sempre su un piede, il sassolino lanciato. Quindi continua partendo dalla seconda casella, e poi dalla terza, nello schiamazzo generale teso a farlo sbagliare. Più in là un ragazzino spinge con una bastoncino un cerchio di bicicletta, un altro insegue una palla di gomma, due bambine si lanciano un cerchietto di legno con due bacchette. Com’erano belli i giochi di una volta: “Stai-là”, che poi i bambini chiamavano “Stella”, “La palla avvelenata”, “La bandiera”, e poi i pupazzi di stoffa, il teatrino ricavato da uno scatolone, dove vivevano burattini di cartoncino vestiti di carta colorata. Quei giochi erano una valigia di simboli che diventavano conoscenza e comprensione della vita, una costellazione di forme, segni e colori da decifrare, che hanno avuto il potere di renderci curiosi per sempre. Tutto quello che chiamiamo gioco non è solamente l’attività ludica ma anche l’insieme delle figure, dei simboli o degli strumenti necessari al funzionamento di questa attività, complessa come la vita reale. Il gioco riunisce in sé i concetti di totalità, di regola ma anche di libertà; infatti le diverse combinazioni di gioco non sono altro che modelli di vita, tendenti a sostituire un certo ordine all’anarchia dei rapporti, passando dallo stato di natura a quello di cultura, dallo spontaneo al voluto. Certi giochi celano misteri, avvincenti narrazioni di un sapere antico: l’albero della cuccagna si collega ai valori del trascendente, il gioco della palla richiama la disputa del globo solare, le sei facce dei dadi evocano i simboli del mondo nei suoi sei aspetti: minerale, vegetale, animale, umano, psichico e divino. Insomma i giochi lanciano messaggi all’umanità, e le dottrine esoteriche vi hanno scoperto una vera scienza iniziatica. La Settimana è un gioco colmo di messaggi che creano un percorso che si snoda verso una conoscenza pure incompleta, come suggerisce il semicerchio in alto, e forse mai completamente raggiungibile. Un atto di sviluppo personale non intenzionale, volto alla costruzione della personalità. Intanto lo stesso nome del gioco ricorda i giorni della settimana, che sono sotto il segno di sette pianeti. Il rettangolo e l’arco che lo sormonta materializzano la dialettica del terrestre e del celeste, dell’imperfetto e del perfetto. Questa forma complessa provoca una rottura del ritmo che invita alla ricerca del movimento, del cambiamento e di un nuovo equilibrio, esprimendo l’aspirazione ad una vita superiore. Il cerchio rappresenta la perfezione, l’omogeneità; è segno d’armonia, simbolo di protezione e rappresentazione della ruota del cielo. Sia il sole che l’oro vengono indicati con un cerchio, e molte danze ne assorbono l’essenza. La danza circolare dei dervisci mawlaiyya, per esempio, è ispirata a un simbolismo cosmico: essi ruotano intorno ad un centro come i pianeti intorno al sole, e richiamano la Trottola e il vecchio e caro Girotondo, fanciullesco precursore della massonica “Catena d’Unione”. Il cerchio combinato col quadrato richiama l’idea del movimento, immagine dinamica di una dialettica fra il celeste trascendente, al quale aspira l’uomo, e la terra in cui si trova. Jung ha più volte ribadito che il cerchio è un’immagine archetipica della totalità della psiche ed esprime l’illimitato mentre il quadrato, simbolo della realtà, descrive un limite. Quindi la corsa su una sola gamba, quasi una danza, è un faticoso deambulare per arrivare a comprendere il cosmo, come il gioco dei Cerchietti richiama il concetto di uno scambio di conoscenza tra i giocatori, allorché i cerchietti di legno assumono il senso di simbolici messaggi. Ma torniamo alla Settimana. All’interno del rettangolo ci sono sei quadrati numerati, e il quadrato esprime lo sviluppo completo della manifestazione, ottenuto partendo dal centro immobile secondo la croce delle direzioni cardinali. Questo sviluppo segue quello delle civiltà sedentarie, mentre gli accampamenti e le tende dei popoli nomadi sono generalmente rotondi. Nel linguaggio dei simboli il quadrato è riferito alla materializzazione delle idee: mentre il tre esprime lo spirito il quadrilatero esprime la materia, rappresentando la sintesi degli elementi. Pitagora sosteneva che tutto è organizzato secondo il numero: i numeri sono il miglior mezzo per avvicinarsi alla verità divina, poiché possiedono rilevanza cosmica. Oltre ai giochi di gruppo è il caso di considerare anche quelli che si possono giocare restando comodamente seduti, tra questi la Dama e l’intrigante gioco degli Scacchi. Ci giungono da una antichissima India ed hanno entrambi la scacchiera come campo del gioco. In particolare gli Scacchi rappresentano una sfida intellettuale che mette in campo matematica, costruzione del pensiero, logica e filosofia. Questo ne fa un gioco internazionale che suscita ammirazione e considerazione presso tutte le culture. Le ragioni storiche e culturali che spiegano la consonanza tra gli Scacchi e la condizione umana sono oggetto di numerosi studi. La scacchiera comprende le forze contrarie che si contrappongono nella lotta per la vita, è il campo della conflittualità della ragione contro l’istinto, dell’ordine contro il caos. Questa è la rappresentazione del mondo, i pezzi sono i fenomeni dell’universo e le regole sono quelle che appartengono alla natura. Una attenzione particolare merita anche il Gioco dell’oca, che ha scatenato una messe sconfinata di interpretazioni ed ha impegnato penne di livello, come Fulcanelli, Borges ed Eco. Per Fulcanelli questo gioco è “un labirinto popolare dell’arte sacra” e ancora: “la sua struttura a spirale conduce verso il raggiungimento del centro, del giardino dell’oca, meta di un cammino sapienziale iniziatico”. Appare interessante notare che la spirale del gioco si svolge costantemente in senso antiorario, quasi ad indicare che il raggiungimento del centro va inteso nel senso di una risalita verso l’origine, verso l’Uno. L’oca, da cui il gioco prende il nome, ha sempre goduto di particolare considerazione presso molti popoli, dagli Egizi ai Greci, ai Romani. In Egitto i Faraoni erano identificati con il sole e la loro anima veniva mostrata sotto forma di un’oca, che rappresentava il sole uscito dall’uovo primordiale. Nella tradizione celtica questo animale era il simbolo dell’aldilà ma anche della Grande Madre dell’Universo, mentre il labirinto svolgeva una funzione magica. A sua volta per gli alchimisti il labirinto era un’immagine del lavoro interno dell’Opera, dove la difficoltà di raggiungere il centro, dove avviene il combattimento tra le due nature, è pari solo a quella del cammino da seguire per uscirne. Hermann Kern nel suo libro “Labirinti” fornisce forme e interpretazioni di questo archetipo nell’arco di 5000 anni. Aprendo la tabella del Gioco dell’Oca appare il percorso da seguire per raggiungere la meta, composto da una serie di caselle tracciate su un serpente che si snoda su tutto il piano del gioco. In molte stampe appare chiaramente l’Ouroboros, il serpente che si morde la coda. Altro archetipo fondamentale legato alle origini della vita e dell’immaginazione, il serpente ha conservato ovunque espressioni simboliche apparentemente in contraddizione. Guénon osservava che il simbolismo del serpente è in effetti legato all’idea stessa della vita. Keyserling affermava che è lo stato più profondo della vita, la riserva, il potenziale da cui provengono tutte le manifestazioni. Molte sono le culture che hanno attribuito al serpente grande valore simbolico: a Roma rappresentava lo spirito guardiano, nel II secolo gli Ofiti lo veneravano in quanto causa della gnosi per l’umanità, riscontrando che le nostre interiora riproducono la figura del serpente. L’Ouroboros, il serpente che si morde la coda, era considerato la descrizione dell’universo e le sue scaglie simboleggiavano gli astri. Simbolo di unità, continuità del tempo ed anche di silenzio, Fulcanelli lo segnala, insieme al sigillo di Salomone, come il degno distintivo della Grande Opera, geroglifico dell’unione assoluta dei quattro elementi e dei due principi ricondotti all’unità nella pietra filosofale. In Massoneria l’Ouroboros è rappresentato dalla Nappa a frastagli, il cordone rosso con sette nodi che circonda il tempio massonico, come l’Ouroboros contorna tutto l’universo creato, simbolo di unità e continuità nel tempo. L’interpretazione alchemica, esoterica e cabalistica usa i simboli del proprio linguaggio come chiavi per aprire anche il senso nascosto dei giochi, delle fiabe, delle leggende, dei miti, nei quali individua il dramma delle incessanti trasformazioni dell’anima e il destino della creazione. C’era una volta un viaggio verso la luce che, attraverso le fiabe ed i giochi di una volta, svelava ai bambini un immenso orizzonte. Nella classica fiaba di “Biancaneve e i sette nani”, che W. Disney conosceva bene e ripropose, Biancaneve è la giovane vergine, la miniera d’oro, mentre i sette nani o gnomi (dal greco gnosis, conoscenza) rappresentano la materia minerale (lavorano in una miniera) nei suoi sette prolungamenti, i sette metalli. Ogni gnomo ha l’aspetto e un carattere di un pianeta che lo domina, ma è il saturnino Brontolo a fornire i migliori consigli al gruppo ed a salvare in molti casi le situazioni difficoltose. Caduta in uno stato di morte apparente per aver assaggiato la mela avvelenata, Biancaneve viene svegliata dal principe, simbolo del mercurio filosofale che, unendosi all’oro, lo estrae dalla materia. Amore e conoscenza camminano insieme; dice Bertrand Russell: “… la vita retta è quella ispirata dall’amore e guidata dalla conoscenza. Conoscenza e amore non hanno confini, cosicché una vita è sempre suscettibile di miglioramento”. E ancora: “Benché amore e conoscenza siano necessari, l’amore è in un certo senso più fondamentale perché spinge l’intelligenza a scoprire sempre nuovi modi di giovare ai propri simili”. E qui non resta che augurarci che in futuro dire “c’era una volta” non rappresenti il naufragio di un tempo lontano e sfumato, per un mondo che non ha bisogno di dogmi ma di libera e concreta ricerca. Ci vuole molto talento per invecchiare senza diventare adulti (J. Brel).