Lettere dalla trincea del coronavirus. 3 – Borsari neri, squali e sciacalli
di Paolo Maggi
Questi sono giorni in cui, come in tutte le guerre, arrivano anche la borsa nera e gli squali. Sono i giorni delle mascherine e dei saturimetri fatti sparire dal commercio e poi ricomparsi a prezzi quasi centuplicati. Sono anche i giorni delle fake news. Girano le notizie più incredibili a velocità ben superiori a quella del contagio. Si posta di tutto. Lo si fa per vincere la solitudine, per darsi un attimo di visibilità, a volte anche per farsi un’indebita pubblicità. Ma anche per distrazione. Mi sono accorto che uno stimatissimo collega in pensione postava notizie indecenti. Gli ho chiesto perché lo aveva fatto. Mi ha risposto che aveva letto solo le prime righe, che gli sembravano condivisibili. Tutto il resto lo aveva ignorato. Le falsità fanno rabbia perché alimentano i dubbi, le incertezze, le paure, in un momento in cui la gente è già confusa, impaurita e angosciata. Si sente parlare già di suicidi tra chi è più fragile, tra chi non ce la fa a reggere il peso della paura. Spesso la sera tardi, quando avrei voglia di fare tutt’altro, passo ore a rispondere a messaggi di amici, parenti, colleghi, conoscenti, gente che non vedevo e sentivo da decenni, alcuni che credevo morti, che mi fanno mille domande. E io mi sono imposto di rispondere, di spiegare e rispiegare. Con calma, senza mai stancarmi. Perché il sonno della ragione non deve produrre mostri. L’epidemia ci sta portando anche questo effetto collaterale. Si legge di virus costruiti in laboratorio da scienziati folli, epidemie programmate a tavolino dai poteri forti, complotti internazionali, le solite congiure demo-pluto-giudaico-massoniche… Un esperto di teoria dei complotti come Umberto Eco diceva che il complottismo è un metodo semplice e conveniente, usato da chi non sa, o non vuole, interpretare la realtà, che è molto più complessa di quanto appare a prima vista. Ma perché scomodare tutte queste teorie complottiste? In realtà sappiamo benissimo come stanno le cose. Sappiamo da molto tempo che esistono delle vere e proprie fabbriche naturali dei virus, situate in aree geografiche dove virus diversi hanno la possibilità di incontrarsi e di ricombinarsi tra loro: si tratta di territori in genere molto poveri, in cui uomini e animali vivono a stretto contatto. Come l’Africa, dove è nato l’AIDS, Ebola e tanto altro, il medio Oriente, dove è nato il virus della MERS. Ma soprattutto l’estremo Oriente. Qui, ogni anno i virus dell’influenza umana e quelli dell’influenza di altri animali, in genere volatili o suini, s’incontrano, mescolano i loro codici genetici e generano nuovi individui, nei confronti dei quali non ci siamo precedentemente immunizzati. Da qui sono partite quelle micidiali epidemie influenzali, come la Spagnola che, fra il 1918 e il 1919 fece quasi 50 milioni di vittime, o l’Asiatica, che nel 1957 uccise due milioni di persone, o infine l’Hong Kong, che nel 1968 ne uccise un altro milione. Qui sono nati anche virus completamente nuovi come i Coronavirus: quello della SARS e, oggi, COVID-19. Ma ci sono luoghi in cui tutto questo avviene con grande facilità. Sono luoghi che hanno sempre colpito la mia immaginazione. Ne parlo durante le mie lezioni da più di 15 anni, da quando, dopo la SARS, spesso mi chiedono lezioni sui nuovi virus: sono i wet market, gli immensi mercati umidi dell’estremo Oriente. Qui si accatasta pesce di ogni tipo, ma anche gabbie piene di animali vivi, i più diversi: volatili, ma anche cani, gatti, pipistrelli, serpenti, furetti, procioni, pangolini… che vengono macellati sul posto per soddisfare clienti ghiotti di prodotti freschissimi. Qui milioni di persone ogni giorno passano tra animali terrorizzati, calpestando una melma immonda, fatta da sangue, feci ed urine. Qui si ricombinano virus umani e animali, se ne producono di nuovi. E si diffondono tra gli uomini. Un mondo da medioevo, che si combina con un mondo moderno, capace di diffondere, nel giro di ore, nuovi virus in ogni parte del mondo con il primo volo in partenza verso l’Europa o l’America. I wet market non sono realtà isolate. La civiltà moderna ha trattato il Cosmo con la logica del wet market: lo ha trattato senza alcuna saggezza, lo ha terrorizzato e violentato. E il Cosmo ha reagito. La reazione della Natura mi ha risvegliato un ricordo sepolto nella memoria. Uno dei più memorabili episodi del film di Walt Disney La spada nella Roccia, del 1963, è l’epico duello di magia tra Mago Merlino e Maga Magò. Qui la perfida e sleale maga, nel tentativo di distruggere Merlino, si trasforma in animali sempre più grandi e feroci. Merlino arranca e si difende come può, finché Magò non si trasforma in un immenso drago viola che erutta fiamme dalla bocca. Merlino sembra ormai vinto, ma in realtà è lui il vincitore, perché si trasformerà in un virus raro e letale, che farà ammalare il drago e lo ucciderà. Il grande Disney, quasi sessant’anni prima, aveva probabilmente intuito quello che sarebbe successo: l’immensa, potentissima e sleale civiltà umana, impersonata da Maga Magò, un attimo prima di aggredire in maniera irreversibile il Cosmo-Mago Merlino, sarebbe stata annientata da un virus letale. Quella sfida non doveva mai essere lanciata.