Lettere dalla trincea del coronavirus. 1 – L’uomo insignificante

di Paolo Maggi

Carissimi, vi porgo i miei saluti non solo in qualità di Gran Maestro Aggiunto, ma anche (e, in questo momento, soprattutto) di Primario di un reparto di Malattie Infettive, in prima linea nella battaglia contro questa epidemia. In Campania abbiamo oltre 1000 pazienti, dunque non molti rispetto ad altre Regioni, ma con mezzi infinitamente più limitati perché tutte le Regioni del sud escono da piani di rientro che hanno falcidiato le nostre risorse. Ogni settimana svuotiamo un’ala nuova dell’ospedale per ricoverare i pazienti con Covid e in una notte o poco più si riempie. A fianco a me lotta un nostro Fratello, uomo e medico di grande valore, e per me questo è motivo di grande conforto. Cominciamo a dimenticare le fattezze dei nostri colleghi, perché da un mese sono nascoste dietro mascherine che portiamo sempre, anche se non possiamo cambiarle quasi mai, perché non arrivano i ricambi. Non ricordiamo più che giorno è della settimana, perché anche le domeniche ormai non esistono. E i malati aumentano ogni giorno di più. A volte ci sentiamo allo stremo, ma sappiamo che il peggio deve ancora arrivare. Io credo che dopo questa esperienza molti capitoli della filosofia, della politica e della sociologia dovranno essere riscritti. Per decenni abbiamo pensato che il mondo sarebbe stato distrutto da una guerra, dall’inquinamento, da qualche sciocchezza fatta dall’uomo, dalla violenza continua che noi perpetriamo contro la natura. Ci siamo dimenticati di Giacomo Leopardi. Ci siamo dimenticati della Ginestra. Ci siamo dimenticati che non saremo mai noi a distruggere la natura. La natura ci ha dimostrato che, con una scrollatina di spalle, è in grado di liberarsi di noi in un men che non si dica. E lo ha fatto con grande e tragica ironia, usando come mezzo di distruzione l’essere vivente più piccolo che esista in natura, un virus. Questa storia ci deve ricordare che noi siamo ben poca cosa di fronte all’universo, e che l’unica nostra salvezza intellettuale consiste nel ricordarci quello che era ben presente agli antichi Maestri da cui ancor oggi la tradizione iniziatica trae linfa vitale: il nostro essere insignificanti, in quanto entità materiali, di fronte all’Immenso. Meno di un virus, a dispetto dell’insano orgoglio a cui la nostra civiltà tecnologica ci ha abituato a credere. Dobbiamo tornare a cercare la nostra ragion d’essere in qualche cosa che sta al di là di ciò che vediamo. Dobbiamo riprendere a guardare oltre, a non accontentarci di vivere, ma a provare ad esistere, nel senso di ex-sistere, uscire da quello che siamo. E dobbiamo anche riflettere sul fatto che non basta avere a disposizione immense risorse tecnologiche se non abbiamo compiuto un percorso interiore che ci renda migliori, capaci e degni di utilizzarle con saggezza. Noi possiamo, come Liberi Muratori, uscire intellettualmente più forti da questa esperienza che è anch’essa un immenso rito di Morte e Rigenerazione. Ma anche la società sarà forse più matura per comprendere il nostro messaggio. Questo dramma farà uscire molte menti dallo stato di anestesia in cui languivano. E dico anestesia in senso letterale: quella totale assenza di percezioni psichiche che per troppo tempo ha caratterizzato la nostra cultura. La Libera Muratoria, a differenza di tante altre culture che fino a ieri hanno dominato, ha gli strumenti per contribuire a ricostruire una società post-Covid-19 che può essere migliore, e dobbiamo già da ora essere pronti ad affrontare questa sfida, come tanti nostri Fratelli fecero dopo la seconda guerra mondiale. Un affettuoso triplice fraterno abbraccio dalla trincea.