Oltre il confine? Il Grande Architetto dell’Universo
Ma che cosa sanno davvero di massoneria Rosy Bindi, Ferruccio de Bortoli e i tanti buontemponi che vanno a caccia di farfalle trepuntinate sotto l’Arco di Tito? Dopo gli scritti di Augustin Barruel, Léo Taxil, Francesco Gaeta e, forse, dell’innominabile autore di Giudaismo. Bolscevismo. Plutocrazia. Massoneria che cos’altro hanno letto? Di quali poteri forti (o quasi) si farfuglia? Alle insinuazioni sul conto della massoneria va posta una sola pacata richiesta: chi sa parli. Dica esattamente che cosa gli consta. Vale per qualunque giornalista o memorialista o aspirante storico, inclusa la presidente della Commissione parlamentare antimafia, i cui Atti auspichiamo vengano presto pubblicati (come accadde, a scoppio ritardato, per quelli della Commissione d’inchiesta sulla P2: 120 volumi per un insieme di circa 120.000 pagine). Chi fosse al corrente di reati, adduca documenti e corra nella procura più vicina, anziché in tipografia.
In attesa di risposte precise, sulla scia dell’incontro pubblico dei grandi maestri Stefano Bisi e Antonio Binni al Casinò di San Remo, coordinato da Marzia Taruffi il 24 gennaio, e in linea col motto del Salone del Libro di Torino, “oltre il confine”, meritano un pur breve cenno i trecento anni della Massoneria moderna, datata 24 giugno 1717, quando a Londra quattro logge fondarono una Gran Loggia ed elessero un gran maestro. Ciascuna “officina” continuò a scegliere il proprio venerabile e a praticare i suoi regolamenti, ma insieme esse ritennero che occorresse compiere un passo ulteriore verso la fratellanza, dal 1723 codificata nella Costituzione dell’Ordine, compilata da James Anderson e John Théophile Desaguliers: dal particolare all’universale. Quali ne furono le motivazioni e il senso?
All’inizio, recita Giovanni Evangelista, era il Verbo, la Buona Novella, la Parola: incisa, vergata, tramandata all’orecchio. Stampata dal Quattrocento, oggi la Parola è diffusa per via telematica. Suono e Simbolo: immediato, come un segnale stradale che non ha bisogno di traduzioni, come una nota musicale o un colore… Ma la lingua dei simboli è meno semplice di quanto si creda. V’è una motivazione. L’Antico Testamento narra che dopo il Diluvio “tutta la terra aveva una sola lingua e parole uguali”. Ma quando i discendenti di Noè decisero di edificare una città di pietra e di bitume anziché di mattoni e di malta e di elevare una Torre che giungesse al cielo, anziché mandare in terra suo figlio Satana, come fece altra volta, Jahve stesso vi discese e confuse la lingua dei profanatori del Cielo, affinché uno non comprendesse più l’altro. Fu Babele: punizione millenaria dell’ambizione umana di ergersi ad Assoluto. Babele comportò divisione, sordità reciproca, rifiuto del dialogo e sequenza di imperi fondati sull’annientamento delle particolarità, retrocesse a “diversità irrilevanti”, a “dissenso”, da estirpare. In Pentecoste Alessandro Manzoni, un grande “iniziato”, inneggiò al miracolo dell’Evangelo diffuso dagli Apostoli attraverso simboli di valenza universale: un cifrario che contagiò il Mondo Antico, ansioso di riti e di miti, come insegna l’Asino d’Oro di Apuleio.
La sua forza dirompente venne poi incapsulata nella burocrazia ecclesiastica propiziata da Costantino il Grande e da Teodosio. Di Concilio in Concilio e dopo feroci conflitti secolari nella Chiesa cristiana il Verbo divenne “catechismo”: formula imparaticcia, inerte. La cristianità si frantumò in Patriarcati, quasi sempre funzionali al potere temporale. Dopo secoli di contenzioso, quello di Costantinopoli disconobbe formalmente il primato del vescovo di Roma quale successore di Pietro e Vicario di Cristo. Così stanno oggigiorno le cose tra il Patriarca di Mosca, Terza Roma, e papa Francesco. Le esplorazioni transoceaniche, la circumnavigazione del mondo e la conquista di immensi imperi dalle Americhe alle Filippine non aiutarono affatto l’Europa cristiana a ritrovare unità: essa,anzi, precipitò nelle ferocissime guerre di religione, dalle quali uscì, spossata, nella seconda metà del Seicento.
Da quegli orrori riaffiorò tenue il mito dell’Ordine dei Rosa+Croce (travolto nella Guerra dei Trent’Anni) e sorse in Gran Bretagna la Royal Society che, dopo quasi due secoli di sanguinosissimi conflitti locali (la guerra delle Due Rose, anglicani contro cattolici, due re decapitati…), mirò a costruire il primo Tempio davvero durevole e pacificante: non un edificio pomposo, una nuova Torre in erezione compulsiva, ma l’Uomo equilibrato, educato a usare gli attrezzi dell’Arte Reale, squadra e compasso, archipendolo e livella. Una mano tesa alla sofistica, la filosofia più alta dell’età greca, sintetizzata nella formula di Protagora: “l’uomo è misura di tutte le esperienze”.
Così nacque, appunto, la massoneria moderna: catena di unione tra persone di scienza, votate al miglioramento di sé medesime e, proprio tramite, della loro comunità e dell’umanità intera. Michele Leone ne ha tracciato un’informata sintesi nella “Guida alla Massoneria. Un viaggio nei misteri dell’iniziazione” (Odoya). Per conseguire la meta, la Costituzione dell’Ordine precisò che i massoni sono uomini liberi e di buoni costumi, né atei né libertini irreligiosi, non ribelli contro lo Stato; e che nei loro incontri è vietato discutere di questioni “religiose” e “partitiche” (la “politica” è altra cosa: connaturata all’uomo), perché queste hanno sempre diviso gli uomini esasperandone artificiosamente contrasti spesso banali, come mostrano nei secoli le “tifoserie”di tutti i tempi e paesi. La Costituzione di Anderson e Desaguliers non aprì alcuno spazio all’esoterismo. Ognuno è libero di elucubrare quello che vuole e come meglio creda su simboli, numerologia, leggende…; ma la loggia si apre per costruire: dialogo, ozio operoso, scienza e sua diffusione. Ne nacquero l’Enciclopedismo e la richiesta di tradurre in atti solenni i diritti di libertà: la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America (includente il diritto alla felicità), la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 (conculcata dai giacobini, che la capovolsero imponendo il culto della “dea ragione” e praticando il Terrore) e con tutte le Carte dell’Otto-Novecento, sino alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948.
La risposta dei “Poteri forti” (quelli sì lo erano davvero) contro la massoneria fu netta: scomunica dei massoni da parte dei papi Clemente XII e Benedetto XIV (1738 e 1751), pena di morte, confisca dei loro beni, demolizione degli edifici nei quali si radunassero. Ciò malgrado, ha documentato, con altri, il gesuita José Antonio Ferrer Benimeli, migliaia di ecclesiastici entrarono in loggia accanto a Mozart, Goethe, Voltaire, Condorcet e, tra gli italiani, il principe Raimondo Sangro di San Severo (la cui “cappella” a Napoli tutti visitano con emozione) e Vittorio Alfieri. Dopo l’età franco-napoleonica, che vide la massoneria orchestrare l’incivilimento della società, e dopo decenni di nuove feroci persecuzioni (dal 1814 furono reintrodotte tenaglie roventi e pene carcerarie a carico dei “fratelli”) dal 1860 la massoneria fu il pilastro portante della Terza Italia, con migliaia di affiliati illustri, dediti a tre obiettivi: educare, codificare, fare dell’Italia il tramite verso la Federazione europea e la Società delle Nazioni. Tra i massoni famosi bastino i nomi di Michele Coppino, che volle l’istruzione obbligatoria e gratuita (1877), Crispi e Zanardelli, che abolirono la pena di morte (1889), Luigi Pagliani, che redasse la prima legge sanitaria in un Paese in tanta parte privo di acqua potabile e rete fognaria, e, dopo la Grande Guerra, Alberto Beneduce, presidente dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, via via sino a Giorgio Cavallo, accademico dei Lincei e rettore dell’Università di Torino, combattuto a testa bassa da oscurantisti di varia ascrizione.
Tra le gloria italiane merita ricordare Alfredo Trombetti, allievo del massonissimo Giosue Carducci: di poverissime origini, egli indagò la monogenesi delle lingue, proprio per superare la Babele e storici “universali”, come Ferdinando Gabotto e Romolo Caggese.
Certo anche la massoneria è parte della storia: multiforme, quindi, secondo le epoche e i paesi. È un arcipelago di Ordini e di Riti. Ha conosciuto e vive contrapposizioni e scissioni. Alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra (costituita nel 1813) fanno capo le Comunità liberomuratòrie che esigono la credenza in Dio Persona e nell’immortalità dell’anima e la dedica dei lavori iniziatici “Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo” (formula che il gran maestro Giuseppe Garibaldi scriveva di suo pugno nei documenti massonici), mentre il Grande Oriente di Francia è capofila delle massonerie “a-dogmatiche”, che cioè lasciano ampia libertà di interpretare la Tradizione. Di certo vi è che in molti paesi i massoni furono e sono vittime della violenza del Potere mentre non ne hanno mai fatto uso negli Stati ove ebbero e hanno ruoli pubblici tramite i propri affiliati: dagli USA (i cui presidenti di alto valore furono tutti massoni) a Gran Bretagna, Paesi Bassi, Svezia,etc. Altrettanto sicuro è che, all’opposto, in tutti i regimi totalitari, ispirati dal fanatismo, i massoni sono perseguitati a morte: dall’Iran a tutti gli “stati” fondamentalisti, in arretrato di secoli rispetto all’avvento dei diritti dell’uomo. E questo è un motivo più che sufficiente per tenere riservati i nomi di chi ne fa parte, come hanno ribadito i grandi maestri Bisi e Binni dinanzi alla Commissione antimafia, sia perché in Italia la massoneria rimane poco conosciuta e comunque non riconosciuta (in assenza di una legge a tutela delle Associazioni, a cominciare dal loro nome), sia perché i massoni si vedrebbero precluso l’accesso a due terzi del globo solo perché, in quanto tali, al loro approdo potrebbero essere arrestati e destinati a pene terrificanti.
La massoneria nacque trecento anni addietro per proporre all’Umanità una lingua universale, non la gretta “globalizzazione” affaristica che ha umiliato i principi di libertà e di fratellanza e rende sospetta quello di “uguaglianza”, oggi pianificata verso la stagnazione e la miseria anziché per il progresso e il benessere.
Infine, chissà se, a suo riguardo passato invano l’anno giubilare della misericordia, il vescovo di Roma vorrà dire una parola chiara sulla compatibilità tra logge e sacramenti, enunciata dal cardinale Seper, prefetto della Congregazione per la Dottrina delle Fede, nel lontano 1974? O anche lui è fermo ai libelli di Barruel, Taxil e alle fiabe sui “poteri (quasi) forti”?