“Mille e non più Mille”: paure e falsi profeti alla vigilia dell’Anno Mille
Figlioli è l’ultima ora, e, come avete sentito l’Anticristo viene: anzi ecco che fin d’ora son già molti gli anticristi; da questo possiamo capire che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri sarebbero rimasti con noi, ma sono usciti, affinché venissero smascherati in quanto non erano con noi. Voi però avete ricevuto l’unzione che viene dal Santo e ben comprendete il tutto. Io non vi ho scritto come se voi non sapeste la verità, ma proprio perché la conoscete e ben sapete che nessuna menzogna può venire dalla verità. E chi altri è il bugiardo se non colui che afferma che Gesù non è il Cristo? Costui è l’Anticristo che nega il Padre e il Figlio.
(San Giovanni, Prima Lettera, XXII, 18-22)
E le fu dato di animare la statua della bestia fino a farla parlare, sicchè questa fece mettere a morte tutti coloro che non si prostravano davanti a lei.
Ed essa fece sì che tutti: piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, ricevano un’impronta sulla loro mano destra e sulla loro fronte di modo che nessuno possa comprare o vendere se non chi ha l’impronta, il nome della bestia o il numero del suo nome.
Qui sta la sapienza! Chi ha l’intelligenza calcoli il numero della bestia perché è numero d’uomo. E il suo numero è seicentosessantasei.
(S. Giovanni, Apocalisse, XIII, I e sgg.)
Più volte l’Europa cristiana è stata percorsa dall’eco di queste parole; più volte ha vissuto la tenace e ossessiva attesa dell’età felice dell’oro che sarebbe seguita al ritorno definitivo di Cristo fra gli uomini. E sempre, ad annunciare la seconda venuta del Salvatore, furono uomini che venivano dal popolo e che davano voce alle aspettative e alle angosce dei diseredati. Uomini che, facendosi interpreti delle speranze escatologiche dei semplici, finivano con il contrapporsi inevitabilmente alle istituzioni ufficiali, presentandosi come messaggeri celesti, pseudo-Cristi o pseudo-apostoli venuti a salvare gli eletti dalla falsa Chiesa prima dell’imminente Giudizio finale.
Figli dei “tempi negati alla speranza”, generati dalle carestie, dalle guerre e dalle malattie, essi esprimevano con il loro linguaggio per lo più sgrammaticato e sempre scomposto le confuse ricerche di verità e di giustizia dell’ambiente da cui provenivano e a cui sapevano parlare. Per la Chiesa furono figli di Satana, perversi eretici; per il popolo, autentici profeti e santi venerati. Per lo storico, essi sono un emblematico esempio del drammatico scontro fra due forme opposte di cultura, di linguaggio e di codici interpretativi. La loro voce risuonò a intervalli regolari, come drammaticamente ricorrenti erano le sventure che si abbattevano sugli uomini, ma raramente, almeno fino al XVI secolo (un’eccezione è fra Dolcino) il loro annuncio di un mondo migliore e della fine dei tempi si trasformò in azione, ovvero assunse la forma di una rivendicazione armata volta a instaurare più con la forza umana che con la Provvidenza divina il profetizzato avvento della salvifica seconda venuta di Cristo.
Qualche esempio, desunto da uno spazio cronologico molto esteso (all’incirca dal VI all’XI secolo), servirà a fissare i tratti e le costanti caratteristiche di questi falsi profeti.
Il primo caso ben delineato (uno pseudo-Elia viene ricordato sommariamente nella Vita di San Martino, scritta da Sulpicio Severo intorno all’anno 400) lo troviamo nel libro IX della Historia francorum di Gregorio, vescovo di Tours. Si tratta di un tale Desiderio, forse originario delle campagne attorno a Bordeaux, il quale era riuscito in poco tempo ad attirare intorno a sé una grande moltitudine di popolo grazie alle sue capacità taumaturgiche e profetiche. Con indosso un cappuccio e un mantello di lana, contornato da un seguito di donne e di contadini che fuggivano dalle terre devastate dalla carestia, egli compiva guarigioni miracolose e stupiva i semplici con i suoi prolungati digiuni (in realtà – corregge subito malignamente Gregorio – nel suo rifugio, di nascosto, divorava freneticamente il cibo e le bevande che i suoi accoliti gli portavano in offerta) e con le sue profezie ispirategli direttamente dagli apostoli Pietro e Paolo con cui affermava di essere in comunicazione spirituale. Smascherato dagli uomini di Gregorio, sparì dalla circolazione, così come sette anni prima era accaduto con un altro pseudo-profeta originario – come si appurerà nel corso del processo tenutosi a Parigi – di una cittadina dei Pirenei.
In questo secondo caso Gregorio è più ricco di informazioni, senza dubbio a causa dello scompiglio che questo falso profeta riuscì a provocare in seno alla popolazione di Tours e di Parigi. Coperto da un mantello senza maniche, con in mano un bastone a forma di croce dai cui bracci pendevano piccole olle di terracotta che a suo dire contenevano olio santo, in possesso di alcune reliquie di San Vincenzo e di San Felice, questo impostore aveva fatto la sua prima comparsa ufficiale proprio a Tours, dove aveva tentato di farsi riconoscere quale nuovo apostolo dall’allibito e scandalizzato Gregorio. Scacciato dalla città, fece perdere le sue tracce ma qualche anno dopo rieccolo comparire a Parigi, in occasione di una festa religiosa, a capo di un “coro” di prostitute e di popolane scarmigliate e seminude, annunciando con accenti invasati l’imminente avvento dei tempi nuovi e denunciando l’immoralità della “falsa Chiesa”.
Come testimonia Gregorio, “… Il suo linguaggio era sgrammaticato, le sue espressioni indecenti ed oscene; … dalle sue labbra non uscì neanche una parola sensata …”. Fatto rinchiudere e perquisito, si trovò che nel sacco che si portava appresso nascondeva radici ed erbe di ogni genere, ma anche grasso d’orso, ossa di topo e unghie di talpa; insomma, rimedi magici per ogni sorta di malattia e di fattura. Che fosse un servitore di Satana, venuto a ingannare gli uomini e a dannarli, lo si vide ben presto poiché non solo eluse la sorveglianza (segno, forse, di una certa complicità con le sentinelle e di sicuri appoggi all’esterno), ma non trovò meglio da fare che andarsene a dormire, ubriaco e con indosso ancora le catene che non aveva spezzato, in quella chiesa di San Giuliano dove Gregorio era solito recarsi a pregare verso la mezzanotte. Avvertito dal terribile lezzo di latrina che l’impostore emanava e che or-mai ammorbava tutta la chiesa, Gregorio lo fece nuovamente catturare e lo consegnò al vescovo di Parigi dietro la garanzia che non gli venisse fatto alcun male: evidentemente i tempi erano ancora tali da garantire una certa tolleranza da parte degli uomini di Chiesa. Al processo risultò essere un servo evaso del vescovo di Boerretanae, nei Pirenei, venuto a “trarre in inganno il popolo allettandolo” con false profezie e falsi miracoli.
Ed ecco un terzo esempio, sempre tratto dalla Historia francorum, ma questa volta dal libro X. E’ la storia di uno “Pseudo-Cristo” che, abbandonate le native campagne di Bourges, percorse la Provenza e la zona di Poitiers per predicare il suo messaggio di redenzione. Erano anni terribili: carestie ed epidemie si susseguivano senza lasciare tregua, segni funesti e nascite mostruose sconvolgevano il cielo e la terra e i profeti comparivano un po’ ovunque, sintomo manifesto di quella imminente fine del mondo che per gli uomini come Gregorio doveva essere preceduta dall’avvento dell’Anticristo e che per gli altri, i “semplici”, sanciva l’instaurazione in terra del regno della giustizia e della felicità. Uno scarto esegetico non indifferente e comunque irriducibile, foriero del destino tragico dei futuri movimenti millenaristici.
Ma torniamo allo “pseudo-Cristo” di Gregorio. Impazzito a causa di uno sciame di mosche che lo aveva assalito nel bosco dove si era recato a tagliare legna, l’uomo aveva finito con l’abbandonare il villaggio natio e, vestito di una pelle d’animale, si era messo a girovagare, compiendo guarigioni miracolose, assolvendo dai peccati e profetizzando la salvezza o la dannazione di quanti lo ascoltavano. Nella zona di Poitiers si presentò accompagnato da una donna che chiamava Maria, mentre di sé diceva di essere Cristo, venuto a salvare gli eletti e a rifondare il regno della giustizia. Il popolo, fra cui anche molti sacerdoti di origini umili, non tardò a seguirlo e presto – testimonia Gregorio – “più di tremila persone” lo seguirono. Un movimento pericoloso, tanto più che si presentava connotato da una scoperta vena di violenza, destinata a sfociare ben presto in saccheggi e rapine i cui proventi venivano distribuiti fra i più bisognosi. Né meno pericoloso doveva essere l’impianto ideologico delle sue profezie, se esse riuscivano a strappare gli uomini dalle chiese e a farli danzare seminudi per le vie, in un crescendo di riti “diabolici” (ovvero, dichiaratamente pagani) che culminavano con le preghiere e le offerte votive fatte presso i crocicchi o nelle radure dei boschi. Non ci stupisce pertanto il finale della storia: fatto uccidere a tradimento il “profeta”, dispersi con le armi i suoi seguaci, torturata e scomunicata Maria (e si notino le straordinarie analogie con quella che sarà la vicenda molto più tarda di Dolcino), l’invasato di Dio si trasforma in eretico, con tutto quello che ne consegue di persecuzioni e di cacce spietate.
Lo si vede bene due secoli dopo, quando l’apostolo di Germania, Wynfried-Bonifacio, si scontrò con lo pseudo profeta Aldeberto, un sacerdote che aveva fondato una sètta a cui aderì un gran numero di uomini provenienti dagli strati più bassi della società. Gli atti dei processi – tenutisi in Germania nel 744 e a Roma, presente papa Zaccaria, nell’anno successivo – sono ricchi di testimonianze e ci permettono di ricostruire con una certa approssimazione il clima e soprattutto i contenuti dei messaggi che questi profeti popolari andavano diffondendo. Senza mezzi termini Aldeberto, un sacerdote di origini popolari, si dichiarava uomo di Dio, santo profeta venuto a redimere i peccatori e a riscattare la Chiesa dalla sua corruzione e depravazione. Quando ancora era nel ventre della madre, ella aveva avuto una visione in cui le veniva annunciata la nascita di un figlio che avrebbe operato fra gli uomini come Cristo. Aveva avuto inizio così quel rapporto personale di Aldeberto con Dio che lo avrebbe spinto a predicare la nuova novella fra i “semplici” e fra gli uomini di Chiesa. Un angelo, a suggello di questa santa alleanza, gli aveva portato dagli estremi confini del mondo delle reliquie miracolose e l’arcangelo Michele in persona gli aveva consegnato un’epistola di Gesù Cristo, caduta dal cielo a Gerusalemme, in cui erano svelate le verità sulla predestinazione e sul Giudizio finale. Abile oratore, egli aveva anche composto una preghiera, ovviamente su ispirazione divina, in cui accanto a Dio Padre e al Figlio si invocavano gli angeli Oriel, Raguel, Tubuel, Michele (l’unico angelo ortodosso della serie, essendo gli altri i nomi degli angeli ribelli, cfr. Libro di Enoch), Tubuas, Saboac e Simiel. Quando predicava, negava valore alla confessione (e dunque rinnegava la dottrina ortodossa del peccato e dell’espiazione), contestava le interpretazioni canoniche dei Sacri testi (a cui opponeva la parola di Dio, che ognuno poteva ascoltare dentro di sé), esortava i semplici a la-sciare le chiese e a erigere nelle radure dei boschi e vicino alle sorgenti croci presso cui pregare, ma soprattutto denunciava i soprusi e le violenze che il popolo doveva subire a causa della superbia dei potenti e dell’avidità del clero. In suo onore si eressero cappelle ed egli stesso si faceva venerare come un santo, distribuendo i suoi capelli e le sue unghie come po-tenti reliquie contro il Maligno e le malattie. Per i diseredati e gli scontenti che lo seguivano fu (e rimase a lungo, nonostante la scomunica) un protettore e difensore, sostenitore della giustizia e autore di miracoli; per il sinodo romano, che lo giudicò nel 754, un pazzo e un sacrilego, un corruttore delle coscienze.
Saltiamo ancora di tre secoli e arriviamo finalmente all’anno Mille, ovvero alle Storie di Rodolfo il Glabro. Anche in questo caso, dal 987 al 1033, è un continuo susseguirsi di crisi di sussistenza, di mortalità di massa e di eventi sovrannaturali. Nelle campagne abbandonate e nelle città sovraffollate per l’afflusso di quanti vi cercavano rifugio e pane ricompaiono i falsi profeti, con i loro cori di prostitute e di pezzenti e le loro profezie sulla fine del mondo. Ancora una volta sono uomini del popolo, come Leutardo di Vertus, nella contea di Chalons, il cui comportamento e le cui parole sembrano incarnare le esigenze spirituali che molto più tardi animeranno il movimento cataro o quello dell’Alleluja di frate da Cornetta. Leutardo – racconta Rodolfo – un giorno si era addormentato per la grande stanchezza in un campo. Nel sonno gli parve che un grande sciame di api gli penetrasse nel corpo “per la sua segreta apertura naturale” per poi uscirgli dalla bocca con un grande ronzio, prendendo a tormentarlo con frequenti punture. Dopo averlo molestato a lungo, gli sembrò che le api gli parlassero e gli ingiungessero di operare fra gli uomini predicando e compiendo miracoli (Rodolfo dice: “gli ordinassero di fare molte cose impossibili agli uomini.”). Svegliatosi, Leutardo seguì l’invito divino; ripudiò la moglie, indossò le vesti del predicatore e si mise a peregrinare per villaggi e città annunciando la seconda venuta del Salvatore e profetizzando il destino di quanti lo interpellavano o assistevano.
I suoi atti ci illuminano assai più dei commenti di Rodolfo: entrato in chiesa, spezza il crocifisso, dichiarando che la morte umana di Cristo nega ampiamente la trascendenza di Dio; si oppone alle interpretazioni delle Sacre Scritture e alle epurazioni arbitrarie compiute dagli interpreti ortodossi; invita il popolo a rifiutarsi di pagare le decime perché la Chiesa vera deve essere povera; contesta la validità dei sacramenti e proclama la non validità del matrimonio, poiché è un legame contratto liberamente dall’uomo e dalla donna, che sono gli unici a poter decidere di scioglierlo. Non riesce a crearsi un forte movimento, forse perché smascherato in tempo (Rodolfo ci ammannisce la consueta scenetta del vero “uomo di Dio” che confonde l’impostore a cui non resta che affogarsi in un pozzo), ma è il termometro di una tensione spirituale e sociale che di lì a un ventennio darà vita alle sètte dei Manichei.
Le storie narrate presentano tutte delle costanti (l’origine popolare, l’invasamento a opera di fastidiosi insetti – la “follia sacra” degli sciamani -, le tracce di un forte paganesimo destinato a conservarsi fino in epoca moderna nelle aree di rifugio, le attese escatologiche in chiave terrena, l’ambigua assimilazione del messaggio cristiano) che non possono essere disconosciute o frettolosamente attribuite a una sorta di modello adottato dalla cultura ufficiale per stigmatizzare il falso profeta. Questi giullari di Dio che costruivano il proprio comportamento sulle agiografie popolari dei santi taumaturghi e sui residui delle visioni messianiche pagane, interpretavano i fermenti spirituali e sociali di quei semplici da cui sapevano farsi comprendere. E tuttavia poco incisero sulle coscienze collettive, se non in brevi momenti e su un numero sostanzialmente ristretto di adepti, indubbiamente poco per attribuire loro il potere di scatenare la terribile paura dell’anno Mille, che infatti non ci fu, nostante un’infinità di segnali facessero presagire l’avvento di eventi straordinari.
La storiografia più recente, da Cardini a Duby e Le Goff, ha ormai dimostrato a chiare lettere come la paura della fine del mondo alla vigilia dell’anno Mille sia un mito romantico, fondato su un aneddoto per nulla provato secondo il quale alla vigilia di Capodanno dell’anno Mille una folla si sarebbe radunata a Roma in attesa della fine del mondo. La mezzanotte arrivò e non accadde nulla, sicché Papa Silvestro II, al secolo Gerbert d’Aurillac, dopo aver benedetto la folla la rimandò a casa. Lo condensa perfettamente Raoul Manselli quando afferma:
Il tornante della storia medievale è costituito dall’anno Mille. E’ storia senza consistenza considerare questo anno come l’attesa della fine del mondo; al contrario, si tratta dell’inizio di un periodo di grande risveglio, di grande rinnovamento sotto tutti gli aspetti…
Comunque basta leggere le cronache del tempo per rendersi conto che la vita continuò a scorrere come sempre, gli uomini non si fermarono, non vi furono scene di panico, processioni di penitenti e di flagellanti, né i predicatori percorsero le vie invitando i fedeli a pentirsi e a confessare le loro colpe in vista dell’imminente fine del mondo.
Di fatto, disponiamo di una sola testimonianza al riguardo, quella di un monaco dell’abbazia di Saint-Benoit-sur-Loire che annota: “Mi è stato raccontato che nell’anno 994, a Parigi, alcuni preti annunciavano la fine del mondo”. E quattro o cinque anni più tardi, all’immediata vigilia dell’anno Mille, aggiungeva: “Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora”.
La posizione della Chiesa era chiarissima come ci attesta un’anonima lettera a un vescovo di Verdun in cui si confuta la teoria che vedeva nelle recenti invasioni degli Ungari la discesa in campo dei popoli di Gog e Magog, le armate dell’Anticristo, preannunciata dall’Apocalisse. Anche il trattato De ortu et tempore Antichristi di Adso di Montier-en-Der pare scritto solo per stemperare una possibile attesa, perché, pur esaminando nei dettagli il significato della figura dell’Anticristo, non si pronuncia sull’epoca storica della sua venuta. E anche chi è più possibilista, si mantiene sul generico assegnando il valore di svolta epocale al cambio di millennio, ma senza pronunciarsi su quando e come avverrà la svolta. Così Rodolfo il Glabro, che pure interpreta i fatti accaduti in prossimità dell’anno Mille come possibili segni dell’arrivo dell’ultima età del mondo, alla fine opta per la soluzione “ufficiale”: non la fine immediata e distruttiva del mondo, ma l’avvento di una nuova era annunciata da eventi terribili (perché misteriose sono le vie della Provvidenza divina che si serve del male per operare il bene) da cui scaturirà un mondo migliore.
In effetti orribili presagi sembravano annunciare l’ormai imminente disastro, anche se si tratta di eventi che dal VI secolo avevano tormentato puntualmente l’Europa. Al solito pestilenze, guerre, carestie con il loro corte di disperazione, violenze inumane (la carestia del 997 registrò diffusi episodi di cannibalismo) e morte. Le cronache di Rodolfo il Glabro ci informano minuziosamente dei tragici fatti successi nel passaggio di millennio. A Orléans il vessillo con l’immagine di Cristo, custodito nel monastero di Saint Pierre-le-Puellier, aveva cominciato a versare lacrime e aveva continuato a farlo per molti giorni; la gente arrivava da ogni parte per vedere il fenomeno. Poi un lupo era entrato nella cattedrale della stessa città e aveva afferrato con le fauci la corda della campana, suonandola a distesa finché i sacerdoti non erano riusciti a scacciarlo. Era chiaro che qualcosa di terribile incombeva su Orléans e infatti l’anno seguente la città era stata distrutta da un incendio. Numerosi altri incendi scoppiarono nelle città europee per tutto il X secolo; il Vesuvio entrò in eruzione, emettendo frammenti di roccia mista a fuoco. Nel 997 iniziò una spaventosa carestia, durata cinque anni, che portò miseria e fame in tutto il continente. Ovunque cadevano pietre dal cielo e apparivano mostri annunciatori di disgrazie. Per non parlare degli eventi astronomici: il 20 giugno 894, all’improvviso, in pieno mezzogiorno brillò nel cielo una sorta di cometa bianchissima, che si spostava lentamente. Il 21 ottobre di soli quattro anni dopo ci fu un’eclisse di sole; nel febbraio 998, in Germania, a notte fonda “si scorse un corpo celeste, brillante e rosso, vagante nel buio, che esplose improvvisamente e precipitò a terra, mentre la luna si tingeva di un rosso sangue”. E ancora: alla vigilia del millenio un altro messaggio divino, una cometa bianchissima illuminò il cielo per l’intero autunno. Ce n’era abbastanza per credere nell’avvento degli ultimi giorni, ma la psicosi collettiva non scoppiò, né poteva essere altrimenti a ben pensarci: in assenza di forti personalità, i profeti dotati di carisma che appariranno solo due secoli dopo, con una struttura sociale fortemente sorretta dalla Chiesa, in un mondo dove ben pochi avevano nozione della misurazione del tempo (per tacere il fatto della coesistenza di calendari diversi) non c’erano le condizioni perché questo avvenisse.
Giunse finalmente il fatidico Anno Mille … e passò senza che accadesse nulla di catastrofico. I quattro cavalieri dell’Apocalisse erano sì arrivati, portando guerre, epidemie, carestie e morte, ma Satana e l’Anticristo non erano comparsi per far sprofondare il mondo in un abisso sulfureo. D’altra parte di guerre ce n’erano sempre state, le epidemie e le carestie erano ormai una tragica abitudine per chi aveva sopportato le orde dei barbari, le scorrerie dei Saraceni, i taglieggiamenti dei signorotti locali. Insomma, era arrivato il nuovo millennio e tutto continuava come sempre.
Per la cronaca: i fautori della fine del mondo decisero che non il Mille era l’anno del giudizio, ma il 1033, cioè il millesimo anno dalla morte di Cristo. Ma passò anche questo anniversario senza conseguenze e la gente continuò a fare i conti con i 4 cavalieri dell’Apocalisse.