La legge Crispi-Pagliani, ovvero “lavorare al bene ed al progresso della patria e dell’umanità”

Nel 1887, a meno di vent’anni dalla breccia di Porta Pia,  l’Italia è ancora giovane e i problemi sono molti. Ma quello più grave è sicuramente la salute degli Italiani. In quegli anni infatti la malaria ammorba gran parte della penisola, la tubercolosi fa stragi a tutte le età e la sifilide serpeggia indisturbata, soprattutto tra i militari. E’un’Italia periodicamente devastata da epidemie di vaiolo, tifo e difterite e in cui, dall’estremo Oriente giunge sovente il colera. E’un’Italia malnutrita, in cui le malattie da carenze vitaminiche, soprattutto il rachitismo e la pellagra, sono diffusissime. E’un’Italia in cui il 45% dei morti si conta tra i bambini entro i primi 5 anni di vita e superare i 40 anni è ancora un privilegio: un cittadino di questa giovane Nazione ha un’aspettativa media di vita che non supera i 35 anni(1).

Nell’ottobre di quell’anno muore Agostino Depretis e, al suo posto, sale al governo Francesco Crispi che decide, fra le prime cose, di affrontare con energia il drammatico problema della sanità nel Paese. Crispi sceglie di rompere la lunga consuetudine di inerzia in tema sanitario e affida l’incarico della stesura di una nuova legislazione all’epidemiologo Francesco Pagliani. Il professor Pagliani è un illustre docente universitario torinese, uno dei padri fondatori della disciplina medica dell’Igiene e della Sanità pubblica in Italia. Ha la fama di essere un medico “scomodo”: personaggio intransigente, uomo colto, impegnato in una serie di battaglie sociali. Ed è un massone. Come Francesco Crispi.

Così Pagliani stesso ricorda l’incontro con Crispi:

Stavo per chiudere l’ultima lezione del mio corso d’igiene a Torino nel 1887, quando mi si consegnò un laconico telegramma dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, col quale mi invitava a recarmi da lui per conferire. Il colloquio con quell’eminente uomo d’azione, più che di parole, fu molto breve. Egli intendeva, come uno dei suoi primi e principali compiti, organizzare la difesa della salute pubblica in Italia. Mi avrebbe sostenuto in ogni difficoltà da superare, non dovendo dipendere in questa impresa da altri che da lui, come mi avrebbe lasciata ampia facoltà di agire secondo i miei criteri tecnici. La proposta era grave quanto lusinghiera, enorme la responsabilità da assumermi di fronte a quell’uomo, che in pochi minuti mi aveva completamente suggestionato, con quel suo alto e sereno spirito di amor di Patria, che riluceva vivido in ogni sua parola e quasi imperioso nel suo sguardo penetrante e pur mite di antico cospiratore“.
Così il professor Pagliani si mette rapidamente al lavoro. In pochi mesi la prima grande riforma sanitaria italiana è fatta.

Pagliani immagina un’organizzazione sanitaria di tipo piramidale in cui, tra il vertice e la base, c’è un continuo flusso bidirezionale di informazioni. Dalla base, che comprende anche i più piccoli Comuni italiani, giungono notizie sempre fresche sullo stato di salute del Paese, sulla presenza di focolai epidemici, sulla mortalità nei luoghi di lavoro, sulle malattie da carenze alimentari e così via. Dal vertice giungono invece le direttive che provengono dal mondo dell’Università e della ricerca scientifica. Questo consente, anche ai medici che operano in luoghi sperduti del Paese, di utilizzare i più aggiornati principi della scienza dell’epoca. In questo modo la riforma costringerà, da un lato la medicina accademica ad uscire dal chiuso delle sue aule e dei suoi laboratori, per applicare i risultati delle sue ricerche alla vita del Paese. Dall’altro imporrà a tutta la classe medica di aggiornarsi scientificamente e di impegnarsi nel dare all’Italia una moderna coscienza sanitaria.

Alla base di questa “piramide sanitaria” c’è un tessuto periferico costituito da medici pagati dallo Stato e quindi, a disposizione gratuita della popolazione. Sono gli Ufficiali Sanitari comunali, i Medici circondariali e i Medici provinciali. Questi sono coordinati direttamente dai Sindaci, dai Sottoprefetti e dai Prefetti.

Il numero dei medici per ogni Comune viene stabilito in base alla popolazione. E non deve neppure mancare il numero sufficiente di pubbliche levatrici, perché i parti vengano espletati da personale qualificato.

La legge prevede che gli Ufficiali Sanitari comunali abbiano a loro disposizione laboratori d’analisi con idoneo personale ed attrezzatura, in grado di eseguire tutti gli esami chimici e microscopici opportuni per assicurare la necessaria vigilanza igienica e sanitaria.

I farmaci poi non dovranno mai mancare alla popolazione. Pertanto i medici condotti che operano in luoghi lontani dalle farmacie, o dove il servizio di farmacia sia ritenuto inadeguato, avranno a loro disposizione un armadio farmaceutico attrezzato di tutti i medicinali ritenuti indispensabili dal Ministero, acquistati con i fondi comunali.

I Medici provinciali sono i personaggi cardine della riforma, perché sono i veri coordinatori del sistema di assistenza medica nelle periferie e costituiscono la cinghia di trasmissione, scientificamente e  tecnicamente efficiente, tra il centro e le periferie. Pertanto essi dovranno essere laureati da almeno cinque anni ed essere stati formati in corsi speciali pratici istituiti presso i laboratori di Igiene dello Stato.

Ogni Provincia italiana avrà poi un Consiglio Provinciale di Sanità che sarà il “team” di specialisti destinato ad affiancare il Prefetto nelle sue decisioni in tema di salute pubblica. Di esso faranno parte gli insegnanti universitari di Igiene e i cultori più noti della materia nelle rispettive provincie. Il Consiglio si riunirà obbligatoriamente quattro volte all’anno, e sarà disponibile per ogni eventuale convocazione d’urgenza.

Al vertice di questo sistema troviamo poi il Consiglio Superiore di Sanità, organo direttamente collegato con il Ministro della Sanità, tenuto a riunirsi sei volte all’anno in tornata ordinaria e in tutte le sedute straordinarie che si renderanno opportune. Ancor oggi i medici che fanno parte del Consiglio Superiore di Sanità sono i più autorevoli consulenti medici dei  Governi in carica.

La legge Crispi-Pagliani viene promulgata dal Parlamento già il 22 dicembre 1888 con il numero 5849 e con il titolo “Sulla tutela della igiene e della sanità pubblica” (2).

Indubbiamente la Crispi-Pagliani non risolve tutti i problemi sanitari dell’Italia dell’epoca. Per esempio i farmaci devono essere pagati anche dai poveri. Tuttavia i progressi che essa determina sono enormi e immediati: nei successivi 12 anni, per effetto della riforma, la mortalità generale scenderà dal 30 al 20 per mille e la vita media salirà nello stesso periodo da 35 a 41 anni. Benedetto Croce la considera uno dei fatti memorabili della “vita politica e morale” della Storia d’Italia dal 1871 al 1915 e dirà: “la vigilanza igienica in Italia fece molti passi innanzi, concorrendo alla sparizione o attenuazione delle epidemie e degli altri morbi e all’abbassamento della mortalità“.

Crispi e Pagliani, dicevamo, sono due noti massoni dell’epoca. Della biografia di Crispi ha parlato in modo magistrale Aldo Alessandro Mola dalle pagine di questa stessa Rivista (3). Di Luigi Pagliani apprendiamo dalla dello stesso Mola(4)che il suo ruolo nell’Istituzione è di assoluto rilievo nazionale: è un 33° Grado del Rito Scozzese. Lo troviamo inoltre, all’epoca della Gran Maestranza di Ernesto Nathan far parte del Consiglio dell’Ordine, in qualità di Delegato del Supremo Consiglio del Rito Scozzese. Lo stesso Francesco Crispi, in quegli anni,  è uno dei componenti del Consiglio dell’Ordine. il Fratello Pagliani è anche membro della Commissione Speciale del Consiglio dell’Ordine sulla Solidarietà massonica. E questo non ci stupisce. Anche perché Pagliani, come  molti altri medici massoni dell’epoca sono attivi anche su altri fronti sociali. Tommaso Villa e Luigi Pagliani fondano, in quegli stessi anni, la Società torinese per Abitazioni popolari. Qui Pagliani applica la sua esperienza di direttore generale della sanità pubblica nel campo dell’ igiene applicata all’ingegneria e all’architettura e sostiene che un Paese civile deve necessariamente garantire un’abitazione decorosa ad ogni suo cittadino.

In quegli anni si sta combattendo un’altra importante battaglia di civiltà e di laicità: la nascita della cremazione in Italia. Su questo argomento prendono posizione illustri medici massoni del calibro di Gaetano Pini, Agostino Bertani, Malachia De Cristoforis e, naturalmente, lo stesso Luigi Pagliani. La diffusione della cremazione peraltro impegna direttamente e ufficialmente in termini economici e logistici le logge e i vertici del Grande Oriente d’Italia.

Luigi Pagliani incarna appieno un’anima tipica della Massoneria italiana dell’epoca, impegnata a trasmettere nel mondo sociale e politico valori di solidarismo e positivismo. La massoneria rappresentata da uomini come Luigi Pagliani forse è povera di valori iniziatici e troppo impregnata di politica ma, in compenso, scende in campo apertamente e con grande generosità in mille battaglie civili. “Fatta l’Italia” in quanto nazione, c’era ancora molto lavoro per “fare gli italiani”. In tema di sanità, in particolare, bisognava imporre il concetto di salute come bene primario, tanto per l’individuo quanto per la Nazione. La riforma sanitaria pone per la prima volta solide bassi per creare una vera Medicina pubblica. Su quella riforma la Libera Muratoria italiana appone apertamente la sua firma. E lo fa per mano del fratello Luigi Pagliani.

Paolo Maggi

Bibliografia

  1. Giorgio Cosmacini. Storia della medicina e della sanità in Italia. Laterza, Bari 1995.
  2. La Salute Pubblica. Giornale mensile di igiene pubblica e privata. 15 gennaio 1890 Perugia.
  3. Aldo A. Mola. L’iniziazione di Crispi: alla massoneria o alla politica? Officinae giugno 2006- numero 2.
  4. Aldo A. Mola. Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni. Bompiani Milano I edizione 1992. Pag. 264.