Corpo e tempo
di Antonio Binni
La libera muratoria regola, in termini minuziosi e tassativi, la posizione che deve assumere il corpo tanto quando l’iniziato entra nel Tempio, tanto quando ne esce, sia quest’ultimo una Loggia o una Camera di perfezionamento. Per incidens, osservo che non esistono riti che si possono eseguire senza il corpo. La massoneria ignora però completamente la nozione di corpo in sé, nel senso di oggettivamente considerato e così inteso, pur, ovviamente, presupponendolo. Affermazione, per altro, non smentita né contraddetta neppure quando in un grado, che, per doverosa discrezione non nomino, il Rituale pone l’accento sulla importanza dei sensi intesi come altrettante fonti mediate di conoscenza, autentiche finestre sul mondo circostante. In quest’ottica il corpo non viene infatti considerato nella sua complessa unicità, quanto invece, all’opposto, come un organismo, vale a dire, come una summa di elementi conoscitivi indiretti. Con questo scritto intendiamo, al contrario, spostare l’attenzione proprio sul corpo fisico unitariamente considerato quale si manifesta nel mondo reale. Per corpo così assunto intendiamo un corpo fisico soggetto a nascita e morte, percepito nella sua unicità e globalità con i normali organi di senso simultaneamente operanti. Nella definizione proposta è fin troppo evidente l’eco dell’uso che della parola faceva Omero. Nel cantore greco quel vocabolo indica infatti sempre il corpo di un morto, come corpse nella lingua inglese. La nozione di corpo va per altro completata con alcune ulteriori osservazioni. Fra le parti – fisiche, mentali, spirituali – che compongono il corpo va notato che non v’è alcuna competizione, ma cooperazione solidale, perché nessuna parte del corpo è orientata a se stessa, ma tutte alla armonia vitale dell’insieme. L’«intero» inoltre è complesso, aperto, in continuo movimento e mutamento, secondo «un equilibrio instabile» tendente alla salute. Il corpo è silenzioso perché opera in silenzio, libero perché agisce spontaneamente. La vita dell’uomo si realizza nel corpo. Senza corpo, non esistono homini viatores. È nel mondo classico – non in quello biblico – che si deve cercare la stima e l’amore per il corpo sensibile. In estrema sintesi, la sua valenza positiva. Da questo profilo, decisivo, ancora una volta, risulta l’insegnamento di Platone che, nel Timeo (29 d – 30 c), ne esalta la perfezione, l’armonia, la nobiltà frutto dell’opera di un divino Artefice capace solo di opere belle, microcosmo specchio, perciò, del macrocosmo. Il che, peraltro, è completamente in linea con ciò che accadeva nell’ universo greco a tutti i livelli, a partire dal concreto. Sono infatti i greci che hanno inventato i ginnasi (la parola deriva da gymnòs che in greco significa «nudo»), le palestre, le terme, in generale la cura del corpo, per non invocare a ulteriore conforto la statuaria greca, prova inoppugnabile dell’ attenzione partecipata riservata al corpo, alla sua bellezza, alla sua nobiltà. È tuttavia sempre Platone che, sotto l’impulso della dottrina pitagorica, parla del corpo come di un carcere e di una tomba per l’anima (soma – sema – Gorgia 493 a; Cratilo 400 c), dal quale fuggire per raggiungere la «pianura della verità» (Fedro, 248 a – c). Col che, non solo si istituisce un rapporto fra corpo e anima, ma, nel contempo, si afferma la superiorità dell’anima sul corpo. La dimensione del corpo infatti è quella del tempo e della molteplicità, per definizione opposta alla dimensione dello spirito, che è quella dell’eterno. Opposizione e superiorità che costituirà poi il cardine della dottrina cattolica e, in particolare, della sua mistica, che, dalla bellezza del corpo, insegna a risalire di gradino in gradino fino alla sfera dello spirituale. Senza però svalutare o addirittura demonizzare il corpo, dal momento che, senza conoscenza e amore del corpo sensibile – salvo poi distaccarsene – non è possibile né conoscere né amare l’anima che è e vale di più. Il che non è dunque rifiuto, né tanto meno condanna del corpo, ma motivo di crescita. Come a dire che la dimensione corporea, per quanto subordinata a quella spirituale, è comunque un dato reale, oltre che di nobile natura. L’uomo è stato infatti creato dal Sommo Fattore anche come corpo. Se questo fosse poi stato privo di Logos, in esso non si sarebbe mai incarnato il Figlio. In conclusione, proprio nella fragilità del corpo e nel suo rapido corrompersi e perire si deve cogliere e riconoscere la sua divinità. Il corpo e i sensi non sono dunque né un legame, né un ostacolo allo spirito, come taluni predicano, visto che nell’uomo autenticamente spirituale corpo e anima, anima e corpo, vivono all’opposto fra loro in perfetta armonia. Il mondo reale è un mondo corporeo. Il che motiva e giustifica ampiamente l’attenzione prestata al tema e la sua analisi razionale da completarsi tuttavia anche da un altro versante significativo, invero assai poco considerato, mentre è del tutto meritevole di essere approfondito. Il tempo soggettivo – quello acutamente messo in luce da Agostino – quello, per intenderci, che rinviene il suo punto di apprensione e di valutazione all’interno della coscienza di ciascuno, ai fini della nostra indagine non rileva. All’opposto, a questo scopo assume invece valore decisivo il «numerato» platonico, ossia la considerazione oggettiva del tempo, con tutta la sua forza ordinatrice fonte di emersione di momenti decisivi e tali da imprimere comunque una svolta significativa. Si vuol dire altrimenti che il tempo della vita viene articolato attraverso tagli, conclusioni, soglie e tradizioni. Ma per i moderni consumatori, infantili e adolescenti ritardati, mai diventati adulti, il tempo altro non è che un semplice passo da un presente a un altro presente. Anche se poi il tempo, senza curarsi di alcunché, si vendica su chi invecchia senza volere diventare vecchio. Il tempo, con tutto il suo potere devastante, lascia infatti tracce indelebili e segni visibili su tutto ciò che è materia e dunque anche sullo stesso corpo umano. A ben considerare, non è allora soltanto vero ciò che si insegna comunemente, ossia che l’uomo vive nel tempo, ma forse non è neppure meno vero che il tempo vive nell’uomo fino a diventare sua misura. Il corpo umano, per dirla altrimenti, testimonia il trascorrere del tempo. Con una immagine – ardita – si potrebbe sostenere che il corpo umano è un segna-tempo, un puntualissimo orologio proprio perché, attraverso il tempo, è possibile ricostruire la vita di ciascuno, oltre che rileggerla in profondità. Concludendo, ci pare legittimo sostenere che il corpo umano, fra tutte le altre, espleta pure la incontestabile funzione di calendario. Nelle meridiane, di solito, si legge: sine sole, sileo. Parimenti, senza un esame della evoluzione del tempo non è possibile cogliere la reale trasformazione del corpo. Per abbracciare il fenomeno in tutta la sua dinamicità, occorre però un esercizio di attenzione. Come dire che per «guardare diverso» occorre prestare attenzione a tutto ciò che non si vede, a tutto ciò che è nascosto, ma che esiste realmente: Sua Maestà il Tempo! Altro che non esiste!