Su alcuni nuovi profili della tolleranza
di Antonio Binni
La storia della origine della tolleranza come baluardo al potere prevaricante e la sua lenta ma progressiva affermazione è, in verità, così nota ai lettori di questo scritto da diventare sicuramente superflua anche in un saggio come quello presente, intenzionalmente preordinato alla trattazione di soltanto alcuni, sia pure significativi, profili della materia, autentiche spigolature, nate dalla curiosità sempre viva. Da qui l’interesse a volgere altrove il nostro sguardo alla ricerca di nuovi orizzonti, in verità non esplorati, con una particolare attenzione al pensiero filosofico sul quale poggia la tolleranza, a tutt’oggi rimasto ignorato. Almeno a quanto consta. La riflessione principia da una indagine volta alla individuazione e alla ricostruzione delle premesse e delle condizioni necessarie perché possa propriamente parlarsi di tolleranza. In ambito pubblico, il termine tolleranza presuppone l’esistenza di uno Stato confessionale o di un dogmatismo religioso. Per Stato confessionale si intende uno Stato che, come persona collettiva, crede necessario di fare anch’esso professione di un determinato culto religioso. Ciò è avvenuto, ad esempio, in Italia, vigente la monarchia. Come noto, l’art. 1 dello Statuto Albertino (1848) disponeva, infatti, che la religione cattolica fosse la sola ed unica religione dello Stato, a differenza di tutte le altre che venivano invece soltanto tollerate. In ambito strettamente religioso, la tolleranza presuppone a sua volta il dogmatismo più rigoroso che, professando la certezza della verità come rivelazione ricevuta, impone ciò che è vero e ciò che è falso, riconoscendo, di conseguenza, la divisione degli uomini fra eletti e reprobi, quanto a questi ultimi, semplicemente tollerati. Tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, il termine tolleranza è però parola tirannica, trattandosi di un riconoscimento forzato e opportunistico di quanto, in verità, si intenderebbe invece assolutamente vietare. La tolleranza, in ambito pubblico, si manifesta così come un male necessario o minore. Necessario, quando non è possibile contenersi altrimenti. Minore, quando il costo della repressione risulterebbe eccessivo. Il che a noi pare risulti manifesto anche nel più recente richiamo alla tolleranza effettuato laddove, in verità, il concetto era del tutto privo di radici. Gli Emirati Arabi hanno infatti dichiarato il 2019 “anno della tolleranza”. Nella Dichiarazione dei principi sulla tolleranza redatti sulla base delle indicazioni dell’ONU del 1996, si legge, testualmente, “la tolleranza è rispetto, accettazione e apprezzamento della ricchezza e delle diversità delle culture nel nostro mondo, […] è armonia nella differenza […]. La tolleranza è una virtù che rende possibile la pace e contribuisce a sostituire la cultura della guerra con una cultura di pace”. Fondata è allora l’impressione che, anche la Dichiarazione, de qua sia in verità stata dettata unicamente dalla necessità di creare un robusto argine al diffuso terrorismo, senza tuttavia alcuna ricaduta sui diritti individuali di chi pratica un credo diverso, tollerato soltanto per non creare pericolose tensioni sociali. Prevalente è infatti il profilo della tolleranza intesa come “virtù” atta a creare “una cultura di pace” in sostituzione di quella di “guerra”: cultura rimasta tuttavia vaga e indefinita perché carente di reali indicazioni che la rendono di conseguenza priva di un qualsiasi concreto contenuto progettuale e, dunque, al postutto, idea sterile. Anche nel mondo cattolico il tema della tolleranza ha avuto da ultimo un notevole risalto. Lo attesta il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato a Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Anche in questa importante dichiarazione contenente un energico richiamo a nobili principi ispiratori di una convivenza armonica, le questioni di fede rimangono, infatti, relegate nello sfondo risultando all’opposto prevalente la necessità di edificare una pace necessaria in un mondo disgregato e lacerato anche, e non soprattutto, da fanatismo fondamentalista, non solo arabo. In ambito religioso alla edificazione del concetto di una autentica tolleranza rimane l’inciampo di un confine insuperabile costituito dalla rivelazione, con conseguente affermazione di essere l’unica vera religione, con l’effetto finale di una radicale intolleranza nei confronti degli altri credi religiosi, sia pure mascherata da una tolleranza propugnata verbis, sempre però eletta come il male necessario o minore. In un’ottica fondamentalista, a bel considerare, anche il semplice dialogo diventa sterile, stante la radicale distinzione fra chi crede nella sola ed unica verità rivelata e chi invece nella stessa non crede affatto, dovendosi inoltre registrare un rapporto di disuguaglianza fra i primi e gli altri. Il tollerare, dal verso qui considerato, implica infatti un rapporto di supremazia da parte di chi si fa scudo della vera religione. Con l’effetto finale e conclusivo che lo stesso dialogo si risolve in un tentativo sterile di confronto. Importante è ora concentrare l’attenzione sul profilo filosofico ispiratore della tolleranza, per lo più, invece, inspiegabilmente trascurato. Porsi da questo angolo prospettico comporta infatti la scoperta di interessanti novità. La tolleranza, a nostro sommesso, ma ponderato giudizio, nasce dalla dottrina scettica, ossia dalla persuasione che il giungere ad una verità incontrovertibile è umanamente impossibile. Così che nessun uomo ha il diritto di proclamare l’assoluta verità di una dottrina nei confronti di tutte le altre. Il che rende appunto facile e agevole il riconoscimento di una tolleranza pregna di autonomo contenuto. Nella formazione del concetto di tolleranza ha inoltre un suo indubbio peso anche il sincretismo con l’insegnamento che alla verità si può giungere per vie diverse, ciascuna delle quali ha una sua intrinseca giustificazione. Dal che consegue appunto la tolleranza sic et simpliciter. In quest’ultimo senso è splendido esempio l’opera teatrale di G. E. Lessing, Nathan il saggio, atto III scena 1 (per un approfondimento dell’argomento ci permettiamo di rinviare ad una nostra recensione di quel testo aureo comparsa in Delta, Rassegna di cultura massonica, ottobre 2007, anno XXXV N. 9, ora del nostro libro Tratti di massoneria, Atanor 2016, pagg. 177 e ss.). Spostando ora l’analisi dal profilo sociale collettivo a quello duale, rapporto intercorrente in una conversazione ordinaria, la tolleranza coincide con la disponibilità al dialogo, mentre è intolleranza, per definizione, il suo rifiuto. Parimenti è intolleranza sottrarsi al confronto con qualsiasi pretesto o l’irridere il proprio interlocutore o offenderlo o macchiarlo di mala fede schematizzando parole e testi del colloquiante secondo una spartizione di luce e tenebre atta nel confronto a usare ora l’una o l’altra a seconda del bisogno. Identiche norme valgono poi per la tolleranza massonica, anch’essa imbrigliata da una realtà insuperabile. Il dialogo non può, infatti, prolungarsi all’infinito. Sicché, quando si oltrepassa il punto critico, il dialogo deve, purtroppo, definitivamente concludersi, pena la rinunzia alle proprie radicate convinzioni. La verità è che, nel terreno duale, il confine tra la tolleranza e l’intolleranza è purtroppo assai poco discernibile, pure perché la tolleranza è fatto interiore, in quanto tale, insuscettibile di verifica dal profilo della sua autentica sincerità. Ne consegue che, nel giudicare, si dovrà seguire il criterio del “caso per caso” guidati da una regola aurea così sintetizzata: massima tolleranza verso chiunque; massima intolleranza nei confronti degli intolleranti. Al termine di queste note sparse sia permessa una conclusione… azzardata. La tolleranza ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita pacifica della umana convivenza. Dopo questo doveroso riconoscimento, non possiamo, però, esimerci dal manifestare l’impressione che la tolleranza abbia perso nel tempo il proprio smalto, ossia una buona parte della sua funzione di muro efficace contro la prepotenza del potere. Forse è per questo che, oggi, per un solido fondamento delle relazioni umane e della pace, più che sulla tolleranza, che nasconde pur sempre una cesura e comunque un distacco fra gli uomini più che sul paziente faticoso dialogo intrecciato spesso fra sordi, si preferisce far perno sulla fratellanza. Come del resto aveva già compreso il genio di Voltaire quando, a conclusione del suo capolavoro, ha lasciato scritto una “preghiera a Dio” nella quale quel sommo invoca la speranza che “tutti gli uomini possano ricordarsi che sono fratelli!” (cfr. Trattato sulla tolleranza, Milano, Feltrinelli, 2002, pag. 148).