Ieri, oggi, domani
di Antonio Binni
Parole legate da un filo d’oro che congiunge sillaba a sillaba. A cascata. Che, a una a una, escono fluide dalla penna guidata dal cuore, perché con la ragione non si costruisce nulla di definitivo. Mi accingo a raggiungere ottantacinque anni. La Bibbia, ai più forti, ne concede solo ottanta (cfr. Salmo 90,10). Questa constatazione non può che destare la più viva apprensione, e soprattutto l’inevitabile riflessione su ciò che, inesorabilmente, mi attende. Sia pure assistito dalla speranza che, al momento del trapasso, qualcuno mi terrà la mano per superare la paura. Intanto vivo nella Comunione e per la Comunione, sperimentando la contraddizione di avere più amici nell’altro mondo che in questo. Sono un accanito lettore della Bibbia. Un particolare interesse ai miei occhi rivestono i profeti, tanto che, a queste enigmatiche figure di strumenti delle parole di Dio, a suo tempo ho dedicato pure un piccolo saggio (in Atene e Gerusalemme ora nel mio libro Tratti di Massoneria, Atanor, 2016, pag 137 e ss., al quale mi permetto di rinviare chi fosse interessato ad approfondire l’argomento). In questi giorni tormentati, gli occhi mi sono caduti su di un passo – il n. 28 – di Gioele, profeta del IV secolo a. C., che chioso. Riferisce dunque il profeta che l’opera dello Spirito Santo si sviluppa in tre fasi della vita, ognuna differente. Nella prima i figli e le figlie “profeteranno”, cioè diventeranno critici. Nella seconda i giovani “avranno visioni”, ossia obiettivi da perseguire, e raggiungere in favore della comunità. Nella terza – e ultima – i vecchi “faranno sogni”. Il lacerto – così credo – è da intendersi in un duplice significato. Innanzi tutto nel senso che i vecchi non devono trasmettere le delusioni della loro vita, ma i sogni che li hanno accompagnati durante la loro esistenza, specie se realizzati. In secondo luogo, in termini ancor più ampi: affidati ad altri i propri affari e il comando pieno di sospetti, i vecchi possono dedicarsi a sogni più impegnativi del quotidiano, a sogni di nuove terre e nuovi cieli da lasciare in eredità come impegno. Anche chi scrive queste note ha sogni di quest’ultima natura: una Libera Muratoria più coraggiosa; un mondo nuovo, senza più guerre; una società finalmente pacificata, più giusta, più umana. Ma veniamo all’argomento di queste note che vogliono essere ricordi, oltre a una riflessione su di una esperienza personale maturata nella nostra amatissima Comunione in ormai moltissimi anni di militanza, risalendo la mia iniziazione alla torrida estate di martedì 15 giugno 1976. Se volgo il mio sguardo al passato, devo riconoscere di essere stato molto fortunato. Ho vissuto i momenti esaltanti della Comunione alla scuola di grandi Maestri, che mi hanno formato e forgiato. Nel ricordo affettuoso e nel rimpianto doloroso li rammemoro ad uno ad uno. Tutti con profonda gratitudine. Primo fra tutti, il mio sommo predecessore Franco Franchi, per me esempio luminoso di saggezza e di profondissima umanità. Con lui ho condiviso non solo successi ma pure preoccupazioni, superate però con slancio, perché, quando diventavo debole per inesperienza, potevo sempre fare affidamento su Franco, che mi infondeva tutto il coraggio necessario richiamando alla mia memoria la figura di Abramo. il quale, chiamato da un Dio appena conosciuto, era ugualmente partito per un incerto luogo lontano, lasciandosi dietro le spalle patria, amici, la casa dei suoi genitori, e diventando così il padre di tutti gli uomini che credono e hanno fiducia. Una lezione indimenticabile e indimenticata. Poi dalla società opulenta siamo precipitati in quella totalmente indifferente: un deserto dove la diffusa sofferenza di innocenti non creava rimorsi. Un oceano nero di miseria, di dolore e di disperazione veniva puntualmente assorbito dal futile divertimento che, come dice il termine, altro non è che un allontanarsi dalla verità (divertimento deriva infatti da divergere = sbandare, discostarsi). Allora ci siamo chiesti: dov’è finito l’uomo? Spaesati, abbiamo continuato a sostenere i nostri valori, pur sapendo che la verità è scandalosa. Ne abbiamo ricavato il riso della servetta tracia, mai creduti, che è condanna dolorosa. Le brucianti esigenze dell’uomo si sono così perse come in un fruscio di foglie. Poi a tutti noi increduli si è presentato un ulteriore tempo. Un tempo che non ha consentito neppure l’ultimo addio. Una pandemia che sembra non volere finire mai. Abbiamo cercato di spargere fiducia con la riflessione. L’impossibile guardarsi diritto negli occhi ha sfilacciato tutti i rapporti. La situazione si è fatta, di giorno in giorno, sempre più difficile. Invece di chiederci come attestarci in una vicenda tanto inaspettata quanto difficile da affrontare, invece di testimoniare una fede che, vivendola, si diffonde da sé, abbiamo annotato defezioni totalmente immotivate. Innanzi tutto perché non ci si doveva scordare la felicità della quale avevamo goduto in passato. In secondo luogo perché, pur nella consapevolezza della difficoltà del momento, eravamo comunque in grado di fortificarci a vicenda, restando così uniti come le dita di una mano. Infine perché siamo stati addestrati ad avere coraggio e fiducia, quella fiducia che, per definizione, è alternativa alla paura sconosciuta a uomini temprati dalla comunione di vita e di studi. In questa landa desolata di sbandati regna già la malinconia nata dalla lontananza, dalla inutilità di un tempo trascorso senza impegno. Senza la vita all’interno della Comunione, non si è infatti più nulla. Quello che abbiamo dolorosamente oltrepassato – almeno così si spera – è stato il tempo della resistenza. Non inutile. Innanzi tutto perché abbiamo imparato anche dalle esperienze negative che bisogna amare la Comunione anche quando ci fa soffrire. In secondo luogo perché, in termini ancora più imperiosi, abbiamo avvertito la cogenza del dovere di divulgare il messaggio che la luce è più forte dell’oscurità. Nonostante il buio del momento, abbiamo così continuato a offrire la nostra onesta proposta di vita. Un obiettivo nobile, anche se difficilissimo da conquistare: trasformarsi in uomini capaci di sviluppare, fino all’estremo limite, l’umano che è lo specifico di ogni uomo. Specificità propria dell’uomo libero, autentico, che, procedendo alla conquista della luce, ha trovato finalmente il suo posto nell’imperscrutabile disegno del Grande Architetto dell’Universo. Se la metà della notte è l’inizio del nuovo giorno, siamo entrati in un tempo nuovo, nel quale occorrono nuove e più intense energie che, pur nella incertezza e nella confusione del momento, e talora pure nello sconforto, aiutino la Comunione a trovare la via d’uscita. Che, all’evidenza, non può che essere una sola, quella della ripresa in vista di una rinascita ancora più ricca e soddisfacente, al fine di rendere l’Obbedienza ancora più credibile. Per ottenere questo risultato occorre però armarsi di consapevolezza e soprattutto di coraggio. Non tuttavia un coraggio qualsiasi, ma di quel coraggio che viene dall’amore verso la Comunione, verso la sua Storia, verso tutti i Fratelli che l’hanno edificata una, libera, indipendente, solenne: persone invisibili, ma reali, che non ci lasciano in pace quando siamo pigri e ciechi. Sempre sorretti dall’amore – poiché niente è più prezioso dell’amore – procediamo allora sicuri, perché accompagnati dalla doverosa prudenza. Dobbiamo inoltre convincerci che non esistono seri motivi per aver paura. Anche quando certi temporali ci rendono la vita non facile all’interno della società civile. A voler guardare alla storia, abbiamo infatti superato ben altri tifoni! In particolare non dobbiamo temere il conflitto ideologico, poiché un amore che teme e che evita il conflitto è un amore meno forte. Il momento della rinascita postula la necessità di prendere decisioni. Del resto, chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita. Sono gli audaci che innovano e, mutando la situazione, la rendono migliore. Né può paralizzare la paura di incorrere in errore. Una scelta sbagliata è infatti pur sempre preferibile a non scegliere affatto, all’origine di un imperdonabile immobilismo. Occorre – così crediamo – ritornare alle origini, rivolgendosi, in principalità, all’uomo che, con la sua voce così alta e così segreta, rimane pur sempre dilacerato da una vita imposseduta. Chi bussa alla porta del Tempio spera di trovare nella Comunione quel quid novi che non trova altrove. Non possiamo pertanto deludere aspettative così intense e sofferte. Per questo alla più calda accoglienza va, subito dopo, fatto seguire il risveglio del maestro interiore, presente in ogni uomo. L’insegnamento iniziatico deve essere pertanto ricollocato al centro dell’impegno della Comunione, nuovamente cattedra effettiva nella educazione, graduale ma costante, dell’uomo, fino a renderlo indipendente, definitivamente libero e interiormente ricco. Quindi occorre indurre ciascuno a pensare, perché chi è in balia degli eventi non può procedere spedito nell’azione intrapresa. E poi formarlo, proteggendo i deboli, guidando i forti, tenendo tutti uniti, dove l’unità non è una sommatoria, ma un corpo organico, vivo e forte, dove fraternamente si dividono i pesi. Ripartire, infatti, non significa soltanto riprendere la strada, ma pure dividere tutto ciò che è comune, tanto in positivo, quanto in negativo. Un programma così intenso e incisivo richiede però un doveroso ritorno generalizzato agli studi, che impegni tempo sui libri per formarsi una cultura quanto più ampia possibile, base indispensabile per affrontare il difficile insegnamento iniziatico. Dopo aver richiamato l’importanza del fenomeno educativo, sempre a fini costruttivi, mi sia consentito di segnalare un rischio, non marginale. La burocrazia – come insegna Max Weber – è un destino inevitabile di fronte alle esigenze connesse alla amministrazione di massa, quale è quella di qualsiasi organizzazione. Per sua natura la burocrazia è una forza espansiva, nel senso che tende a invadere tutti gli ambiti possibili. Il problema resta allora quello di sempre: dominare il rischio insito nel fenomeno pericoloso in sé. È dunque indispensabile frenare la tendenza in atto, volta a travalicare i limiti propri del fenomeno fino a farlo diventare un dato assorbente e, alla fine, prevalente. Altrimenti si finisce per soffocare la Comunione. E qui mi arresto, perché la saggezza della Comunione e del suo Vertice sono tali da garantire una nuova creatività, capace di fare ancora più risplendere la dignità di Fratelli che si amano e che, quando occorre, sono capaci di perdonarsi. In sintesi sono molto sereno, poiché sono assistito dalla certezza che, in una salda unione, saremo sempre all’altezza del compito che ci attende. Sicuramente difficile ma esaltante, così come è esaltante assistere alla edificazione di un nuovo edificio fino al suo culmine. Che è quanto dire che il futuro ci restituirà, arricchito, tutto ciò che ci ha rapinato il tempo degli addii, nella disperata solitudine non alleviata dai pur dolci ricordi! In questa certezza sono assistito dalla educazione ricevuta alla serietà e al rigore, soprattutto all’etica del sacrificio che impone di fare ciò che va fatto. Ciò che si deve dare lo si dia ora. Senza indugi, né tentennamenti. Come semplice testimonianza e muto esempio di speranza a uomini desiderosi di verità, chiamati dalla sorte a vivere in un mondo difficile quale è questa confusa e inquieta postmodernità.